welcome to neverland ( 고엽 ) the loneliest whale portfolio;

Posts written by petrichor.

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    HJEe1uO
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    Rm2REGH

    Visto dall'esterno - o piuttosto giudicato dall'alto - il nostro modo di vivere apparirà forse insulso, privo di fondamenta e di significato. Penso che sia una cosa alla quale dobbiamo rassegnarci. Ma anche ammettendo che compiamo soltanto una serie di atti vuoti, come per l'appunto versare acqua in un vecchio vaso forato, per lo meno resta il fatto reale che ci impegniamo. Non importa se otteniamo dei risultati o meno, se facciamo bella figura o no, in fin dei conti l'essenziale, per la maggior parte di noi, è qualcosa che non si vede, ma si percepisce nel cuore. E spesso le cose che hanno veramente valore si ottengono attraverso gesti inutili. Le nostre azioni non saranno forse proficue, ma di sicuro non sono stupide.

    Dark College GDR

    adottini eoXwOek


    we're motivated by the scars that we're made of.
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    This letter is for you. The you that’s had a rough week. The you that seems to be under constant storm clouds. The you that feels invisible. The you that doesn’t know how much longer you can hold on. The you that has lost faith. The you that always blames yourself for everything that goes wrong. To you. You are incredible, you make this world a little bit more wonderful. You have so much potential and so many things left to do. You have time. Better things are coming your way, so please hang in there. You can do it.

    Per me i veri angeli sono le persone che compaiono all'improvviso a dare luce alla vita. A volte mi capita di incontrarne: esseri sconosciuti con cui il destino ti porta a condividere intensamente un breve lasso di tempo. Esseri in grado di darti consigli precisi sulle scelte cruciali.



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    Marimo CafèColorfuland
    Hajima Spaces ♪ avatar ©
    Grazie Aki-chan || Grazie hajima

    adottini eoXwOek
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    Dark College GDR

    ❝ I'm afraid that if this moment passes,
    this might not have happened.
    You'll fly away, you'll shatter, like a butterfly. ❞
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    Era stata un'adolescenza strana, quella di Seokjin. Fin da piccolo era stato un ragazzo tranquillo e taciturno, pur non amando di certo la solitudine. Era semplicemente un giovane che stava vivendo quella che molti definivano l'età più difficile dell'intera vita. Ma Seokjin non sapeva se essere o non essere d'accordo con quell'affermazione. Lui non trovava che, rispetto all'infanzia, la sua vita avesse avuto particolari cambiamenti. O, se anche erano avvenuti, lui non ne era stato testimone. La vita si consumava semplicemente nella tranquillità delle giornate, giornate forse un po'vuote, ma di cui il ragazzo si era sempre accontentato. In fondo, non aveva mai avuto particolari aspirazioni, se non quella di trascorrere un'esistenza priva di grandi scombussolamenti.
    Eppure, in qualche angolo recondito della sua mente era conservato un ricordo, un particolare della sua vita che lui non avrebbe voluto dimenticare mai ma che, purtroppo, aveva già perso. Quell'avvenimento si era perso negli angoli più bui della sua mente, mescolato a chissà quali altri ricordi. Molte immagini si sovrapponevano nella sua testa, cose che lui non si ricordava nemmeno di aver vissuto avevano rubato il posto ad avvenimenti decisamente più importanti per lui ma, ormai, non ci poteva più far niente. Cercava di ricostruire il suo vissuto con i pochi stralci di ricordi che gli rimanevano, cercando di farli combaciare l'uno all'altro. Com'era prevedibile, però, essi non si collegavano mai l'uno all'altro. Erano sempre eventi, facce, parole, tutti estremamente scollegati tra loro. Comunque, pur non ricordandosi di preciso il giorno in cui la sua vita era cambiata, gli restava ancora la consapevolezza che cinque anni prima -quindi, se non andava errato, doveva essere successo quando lui aveva quindici anni- aveva incontrato i suoi salvatori, come era solito chiamarli. Qualche giorno prima s'era imbattuto casualmente in uno di loro. Taehyung, era quello il suo nome, anche se lui non poteva dire di ricordarselo. Semplicemente, in cuor suo sentiva che era suo amico.
    Sbuffò, ritornando a concentrare il viso sul suo caffè ormai freddo. Taehyung era andato in bagno, e così lui si era ritrovato nuovamente da solo. "E' solo per qualche minuto" l'aveva rassicurato l'altro, ma, in realtà, a Seokjin non dispiaceva essere lasciato da solo. L'unico problema era rappresentato dalle sue crisi, ma cercava di non pensarci.

    Anche se ci rifletteva su da un tempo che gli pareva infinito, Seokjin non riusciva assolutamente a ricordare come fosse arrivato in quella città. Le strade avevano qualcosa di familiare, ma non avrebbe saputo dire con esattezza dove si trovava. Nè, peraltro, aveva avuto ancora il coraggio di chiederlo a Taehyung. Aveva paura di sentire la risposta. Dato che l'attesa stava iniziando a diventare snervante, si decise a prendere il telefono. Doveva chiamare i suoi zii. Non poteva lasciarli in pensiero, ora che li aveva – per così dire – ritrovati. Il cellulare aveva appena iniziato a squillare che già dall'altra parte si sentì qualcuno alzare la cornetta. I due suoi unici parenti dovevano essere a casa. Sotto un certo punto di vista, Seokjin era sollevato da tutta questa preoccupazione che i due adulti nutrivano nei suoi confronti. Lo faceva sentire amato e, soprattutto, gli era mancato avere una famiglia. Non gli importava che vivessero dall'altra parte del mondo, ormai. Erano pur sempre due persone che gli volevano bene.
    Venne risvegliato dalla voce concitata di suo zio, che gli chiedeva dove fosse, sottolineando quanto lui e la zia fossero in pensiero per lui. "Perchè non ci hai chiamati ieri?" Il ventenne alzò gli occhi al cielo. Non gli andava già più a genio la loro apprensività. Però, in fondo, un po'li capiva. Chi non si sarebbe preoccupato di perdere nuovamente qualcuno di caro, dopo averlo già perso una volta, per ben cinque anni?
    -Il telefono non prendeva- mentì. In realtà, la causa aveva un nome, e fattezze umane. Taehyung. Dall'altro capo del telefono gli giunse uno sbuffo, seguito da uno sbrigativo -Okay, ciao.-, poi la chiamata finì. Il ventenne sapeva già che, con quel gesto, lo zio esplicitava la sua delusione. Per quanto non se lo ricordasse affatto, aveva l'impressione che fosse un gesto abitudinario per quell'uomo. "Ben fatto, Seokjin." Si rimproverò, anche se non c'era nulla di cui sgridarsi. Non era colpa sua. Non lo era mai stata. Però il ragazzo si sentiva ugualmente in colpa, forse più per aver mentito agli zii per evitare che si preoccupassero che per altro.
    Finalmente arrivò Taehyung ad occupare la sedia di fronte a lui, salutandolo con un largo sorriso. Seokjin si chiedeva perchè, però, ogni cosa in quel ragazzo gli sembrasse così sinistra. Per scacciare questi pensieri, decise di parlare. Aveva bisogno di prendere una boccata d'aria.
    -Ehm... Ti va se usciamo? Ho voglia di fare una passeggiata.-
    -Va bene, vado a pagare.- Asserì l'altro, in tono pacato.

    Usciti dal locale fecero una lunga passeggiata, fianco a fianco, immersi nel più profondo silenzio. Poteva sembrare così assurdo ma, per quanto non si vedessero da cinque anni, non si erano poi parlati molto. Tra loro c'erano soltanto stati sguardi d'intesa, e di studio. Nè interrogativi, nè spiegazioni. Niente. Sembravano entrambi in attesa che tutto venisse fuori in modo naturale.
    Alla fine arrivarono ad un parco e, trovato un posto un po'isolato, si sedettero sull'erba, uno di fianco all'altro.
    -Ehi, dove sei stato in questi cinque anni?- osò infine chiedere Taehyung, la voce rotta dall'agitazione. Tremava. Seokjin se ne accorse, allora strinse le grandi mani del minore nelle sue; le lunghe dita s'intrecciarono a quelle storte e screpolate di lui. Infine rispose.
    -In giro.-
    Non aveva ancora voglia di affrontare l'argomento malattia. Con sua grande sorpresa, il più giovane non insistette.
    -Avrai visto tanti bei posti, eh...-
    Questa frase uscì dalla bocca di Taehyung poco più che sussurrata, cosicchè Seokjin non riuscì a coglierne il tono.
    "Li avrò visti sicuramente. Peccato che non li ricordi. E comunque, nessun posto è come casa. Peccato che non ricordi nemmeno se la ho, una casa." Lo pensò, ma non lo disse. Invece si strinse ancora di più a Taehyung. La distanza tra loro era ormai minima, ma non per il freddo. Quasi d'istinto, il più giovane prese l'iniziativa, e quella distanza si annullò. Le labbra dei due ragazzi aderirono, come se fosse la cosa più naturale del mondo e al contempo qualcosa che aspettavano da anni.

    Dietro di loro il cielo, lievemente rosato, segnalava che un altro tramonto stava per arrivare.

    Quel bacio non era però segno d'amore, era un cercarsi, era l'espressione di un bisogno di affetto mai ricevuto. Con quel gesto, i due avevano sancito che era arrivato il momento di ubriacarsi di quell'affetto. Perciò, fu una naturale conseguenza che a quel bacio ne seguisse un altro. Poi un altro ancora. Si baciarono fino a perdere il conto, con desiderio e bisogno, mentre i loro corpi a contatto cancellavano il freddo dell'inverno. Alla fine, poco prima che venissero chiusi i cancelli del parco, i due si alzarono, incamminandosi mano nella mano verso la provvisoria casa di Seokjin, consapevoli che, per quanto fosse effimera la loro felicità in quel momento, era esattamente ciò di cui avevano bisogno. Chiuso l'uscio dietro di sè, i due ripresero a baciarsi, di comune accordo, nel silenzio di quell'edificio che per la prima volta trasudava familiarità. Erano spinti dal desiderio di annullare in un solo colpo una distanza durata ben cinque anni e avevano bisogno l'uno dell'altro in modo quasi morboso, come se soltanto loro due fossero in grado di colmarsi i vuoti a vicenda. Perciò, nessuno dei due si bloccò quando il bisogno li spinse a cercarsi anche tra le lenzuola, nella calma di quella notte così fredda, che aveva riservato un po'di calore soltanto per loro.
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    Hoseok. Cosí si chiamava. Jung Hoseok.
    Aveva diciotto anni, Hoseok, e quei diciotto anni gli stavano stretti come una maglia dalla taglia sbagliata. Non se li sentiva suoi, erano gli anni di un altro. In fondo, quando esattamente erano passati tutti quegli anni? Lui dentro era ancora un bambino. Il volto gli si illuminava ogni qual volta la neve cadeva e ricopriva tutto il paesaggio, esultava se vedeva un arcobaleno e il suo passatempo preferito era rincorrere le onde. Stupirsi delle piccole cose era ciò che lo rendeva Jung Hoseok.
    In ogni caso, quelli che lui aveva espresso davanti alle candeline ad ogni suo compleanno, erano diciotto desideri sprecati. Lui era cresciuto comunque.
    Aveva diciotto anni, Hoseok, e osservava il mondo da una finestra di un metro per un metro. Se qualcuno gli avesse chiesto di mostrargli il mondo, Hoseok non avrebbe aperto un atlante, ma avrebbe indicato quella piccola finestra della sua mansarda, con l'innocenza di un bambino.
    Anche quel giorno, come tutti i precedenti, Hoseok guardava verso il suo mondo. Eppure, rispetto a tutti i precedenti, ci fu una novitá per il giovane ragazzo dai capelli tinti d'arancio. A piccoli passi lenti, proprio sotto la sua finestra, stava passando una persona i cui tratti gli suonavano familiari. Portava una sciarpa rossa, dello stesso rosso di cui erano colorate le guance a causa del freddo. Il ragazzo si stringeva nel piumino per ripararsi dalla tagliente aria gelida che gli sferzava il viso, ma ció lo faceva apparire ancora più piccolo e indifeso di quanto non fosse giá. Quando finalmente gli fu possibile scorgere per intero il viso di quel ragazzo, Hoseok provó l'impulso di aprire la finestra e farsi scoprire. Poi, peró, si trattenne. Era Jimin. A quanto pareva, si stava dirigendo verso un edificio poco lontano da casa Jung. Hoseok si chiese come aveva fatto a dimenticarlo, loro due erano praticamente vicini di casa. Eppure, da quell'anonimo edificio in cui nel frattempo era entrato l'altro, cosí differente rispetto alla pittoresca casa dei Jung, non usciva piú nessuno da anni. Hoseok aveva persino pensato che si fossero trasferiti. Invece no. Jimin era sempre stato lí. E allora perché? Perché si erano scordati della reciproca esistenza? Non riusciva a spiegarselo.
    Hoseok aveva diciotto anni e possedeva poche cose. Tra queste, il sorriso. E fu proprio un sorriso – timido, eppure luminoso come il sole all'alba – ad apparire sul suo volto, quando vide Jimin rivolgergli un saluto con quelle piccole mani infreddolite. Il maggiore allora si sentì invadere da un calore improvviso e, spinto dall'eccitazione, aprì le vecchie imposte della finestra. Aveva dimenticato tutte le precauzioni prese fino ad un attimo prima.
    Nella fredda aria di gennaio, la sua voce vibrò, gentile e stranamente felice.
    -Jimin, nevica!-

    *****

    Quando Yoongi uscì dal locale, nevicava. Un riflesso incondizionato lo fece rintanare maggiormente nella sua felpa. Non aveva ombrello, così si ritrovò a camminare sotto i cornicioni, mentre il marciapiede sotto le sue Vans sgualcite diventava un po'più umido ad ogni suo passo. Non aveva previsto che nevicasse, in fondo quante volte all'anno nevica nelle località di mare? Alla fine iniziò praticamente a correre, pur di bagnarsi il meno possibile. Odiava sentirsi umido, non sopportava la sensazione dei vestiti appiccicati alla propria pelle, la percepiva come una violazione del suo spazio vitale.
    Tuttavia, nonostante tutti i suoi sforzi, arrivato a casa era decisamente fradicio. La nevicata era peggiorata di molto, perciò non c'era stato nulla da fare per i suoi poveri vestiti. Corse quindi in camera – quel giorno era libero di farlo, dato che non c'era nessuno in casa – e velocemente si cambiò, mentre rifletteva. Probabilmente Namjoon gli aveva detto quelle cose supponendo che, ovunque fosse Jungkook, avrebbero trovato Taehyung insieme a lui. Però, Yoongi sapeva che non poteva essere così. Ovunque fossero, erano separati. Ne aveva la conferma, avendo trovato il più piccolo alla capanna senza il suo inseparabile compagno.
    In ogni caso, non poteva sicuramente mettersi alla ricerca di entrambi, con la nevicata che stava venendo giù, perciò decise semplicemente di attenersi agli ordini impartitigli da Namjoon. In fondo, si stava già facendo coinvolgere più di quanto avrebbe voluto. Intanto, nella sua testa non faceva altro che ripetersi che in parte cercava il più giovane per chiarire qualche dubbio; eppure, sapeva anche che in realtà non era così. Quei sette ragazzi erano stati capaci, per una seconda volta, di tirare fuori il suo lato più buono.
    Così, dopo essersi passato velocemente le mani tra i capelli nel tentativo di asciugarli almeno un po', scese nell'enorme garage situato sotto la villa. Trovatosi davanti all'enorme collezione di automobili antiche che possedeva il padre, puntò con passo sicuro verso quella che ormai considerava sua. In realtà, nessuno gli aveva mai dato il permesso di guidarla, ma lui aveva fatto prima: se l'era dato da solo. E così, ogni qualvolta i genitori erano fuori per lavoro, lui la metteva in moto e partiva. I finestrini abbassati a sentire l'aria a contatto con la pelle, esplorava i campi disseminati attorno alla sua città natale. Sicuramente, però, non avrebbe mai pensato di doverla usare sotto la nevicata di una notte di metà gennaio.
    Ciò nonostante, partì, lasciandosi guidare dal suo istinto come faceva sempre. In fondo, non aveva alcun indizio che gli dicesse da dove cominciare la ricerca di Jungkook.
    Partì, lasciandosi il presente alle spalle, con una cassetta inserita nello stereo, come d'abitudine. A Yoongi piacevano le cassette. Sapevano di vissuto, sapevano di vita.
    La neve gli ostruiva la visuale mentre percorreva le buie strade di periferia, ricordandosi delle sere in cui le attraversava e sentiva il frinire dei grilli, così forte da coprire la musica. In quel momento, invece, il paesaggio attorno a lui gli sembrava patetico quanto la sua vita. Tutti quei prati ricoperti da una miscela di pioggia e neve erano così brutti e spogli...
    Si era ormai fatta notte fonda, la neve aveva smesso di scendere, e gli occhi di Yoongi si stavano facendo man mano sempre più pesanti, quando avvistò una figura. Era seduta a bordo strada, fradicia da capo a piedi, e si teneva le ginocchia racchiuse tra le braccia. Il viso guardava un punto nel buio, molto, troppo lontano da lì. Jungkook. Il giovane dai capelli di una tinta gialla uscita male si fiondò in fretta e furia fuori dalla macchina, per raggiungere l'altro. Quando se lo prese sulla schiena, esattamente come la volta precedente, quest'ultimo non ebbe alcuna reazione. Era soltanto scosso da tremiti lungo tutto il corpo, le labbra blu per il freddo. Yoongi lo fece sedere in macchina, coprendolo con la sua felpa, poi partì a tutta velocità verso la casa del più giovane. Aveva bisogno di un posto caldo dove riposare, al più presto.
    Furono così davanti alla palazzina vagamente fatiscente della famiglia Jeon, e nuovamente Yoongi si buttò fuori dalla macchina, per andare a suonare con foga al campanello. Suonò e suonò, per quelle che gli sembrarono ore, continuando a lanciare occhiate furtive verso la sua macchina, dove Jungkook si era addormentato. Eppure, nessuno rispose. A quel punto, il biondo prese una decisione per cui, con qualsiasi altra persona e in qualsiasi altra situazione, si sarebbe ritenuto un pazzo. Avrebbe portato Jungkook a casa sua.

    Edited by Zenith; - 5/10/2017, 14:36
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    Taehyung corse. Non sapeva per quanto, non sapeva per dove. Semplicemente correva. Non sapeva nemmeno quanto tempo fosse passato dalla sera in cui lui e Jungkook avevano trovato quelle scritte nella loro vecchia baracca. Forse un giorno, forse due, forse una settimana. Per lui il tempo era diventato superfluo. L'unica cosa di cui era certo era di non essere più lo stesso da quando aveva sentito la presenza di Seokjin. Qualcosa in lui era scattato e ora non poteva più fermarlo, non sapeva come, e quindi continuava semplicemente a correre. Se avesse avuto una vita più semplice, di quelle banali, fatte di scuola e giri con gli amici, fatta di pazzie e rimproveri, probabilmente avrebbe capito che quel qualcosa era amore. Ma la sua vita gli aveva tolto tutto ciò che poteva sottrarre, lo aveva reso spregevole ed egoista, quindi cosa poteva saperne lui dell'amore? Non si ricordava nemmeno che esistesse, a momenti.
    Taehyung aveva dormito qualche ora soltanto su una spiaggia poco lontano dalla sua città, poi si era messo in cammino senza aver stabilito una meta precisa. O meglio, una meta ce l'aveva, e prendeva il nome di Seokjin, peccato che non sapeva minimamente dove si potesse trovare.
    Aveva camminato a lungo per periferie e prati e boschi, canticchiando a bassa voce le canzoni dei Arctic Monkeys. Gli ricordavano quei tempi felici trascorsi con il gruppo. Al tempo, ognuno di loro, per un giorno alla settimana, aveva la possibilità di accendere l'impolverato stereo che stazionava nella ancor più impolverata base e scegliere la musica che li avrebbe accompagnati per quelle ventiquattr'ore. Ricordava che Seokjin metteva sempre, sempre, esclusivamente gli Arctic Monkeys. Erano il suo gruppo preferito. Alla fine, a forza di ascoltarli ogni settimana, i sette ragazzi sapevano tutte le canzoni a memoria.
    Taehyung constatò che non ne ricordava nemmeno una.
    Andando ad orecchio riusciva ancora ad azzeccare la melodia, mettere una nota dopo l'altra, ma niente più. Per quanto si sforzasse, i testi si erano persi come parole buttate al vento.
    E, cosa ancora più strana, non aveva idea di che canzoni mettesse lui stesso, ogni settimana.
    Il suo giorno era il martedì, lo sapeva perchè avevano deciso di partire dal più piccolo, per arrivare al più grande, Seokjin, a cui era riservata la domenica. Una volta, dato che nei giorni festivi uscivano spesso, Yoongi aveva detto "Per fortuna gli è capitata la domenica, almeno così evitiamo di ascoltarci ogni settimana lo stesso disco."
    Allora tutti avevano riso, ma se ci ripensava su, Taehyung avrebbe preferito sentire quelle canzoni più spesso.

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    Uscito da scuola, Yoongi si diresse verso il negozio di dischi presso cui lavorava part-time – o, come avrebbe detto suo padre, sprecava tempo –. Quando entrò, fu accolto dagli Arctic Monkeys che, dallo stereo in sottofondo, stavano suonando Knee Socks. Detestava quel complesso, pur sapendo ogni canzone a memoria gli riportava alla mente spiacevoli ricordi. "Si prospetta una giornata dura." bofonchiò tra sè e sè, mentre il suo collega decisamente troppo sorridente lo salutava caloroso. Non capiva bene perchè quello strano individuo si ostinasse ad essere così gentile con lui quando Yoongi le aveva provate tutte per fargli capire che no, non aveva intenzione di fare amicizia.
    Dopo aver indossato la spilla del negozio si diresse dietro al bancone, sperando di poter ricevere parecchi clienti, così da allontanarsi sia dal fastidioso collega sia distrarsi da quella musica snervante. In realtà, non sapeva ancora che cosa aveva in serbo quella giornata per lui.
    Un paio d'ore dopo, nel negozio sarebbe entrato un volto – purtroppo, avrebbe commentato Yoongi stesso vedendolo – conosciuto. Dall'altra parte del bancone, infatti, si era piazzato nientemeno che Namjoon. A contrario del più vecchio, la cui espressione rivelava la sua sorpresa, però, il più giovane non mostrava grande stupore. In realtà, constatò Yoongi, non sembrava provare alcuna emozione.
    Quando il minore aprì bocca per chiedere informazioni, all'altro sembrò di venire richiamato dall'oltretomba.
    -Scusate, io vorrei sapere se vendete qualche cd degli Arctic Monkeys.- la voce flebile e roca, come se non parlasse più da tanto tempo. Yoongi avrebbe voluto gridare. Perchè quel gruppo sembrava perseguitarlo, quel giorno? Sospirò di sollievo, quando il collega rispose al posto suo. Tutto si svolse come se i due non si conoscessero. Il più vecchio, vedendo Namjoon diretto verso l'uscio, trattenne a fatica un sorriso esultante, ma aveva gioito troppo presto: quest'ultimo, come ricordatosi improvvisamente di qualcosa, tornò indietro, borbottando in direzione del bancone. Yoongi ci mise un po'a realizzare il significato di quella frase. Pensava di essere preparato, ma in realtà non lo era affatto. Rimase per un bel po'lì fermo, ammutolito, poi si riscosse.
    Namjoon gli aveva detto "Siccome Seokjin è tornato, avrei bisogno di parlarne con te. Ti aspetto nel caffè qui di fronte, vieni pure quando hai finito il lavoro." Quelle parole gli rimbombarono fastidiose nelle orecchie. Non sapeva ancora che se le sarebbe ricordate per molto, molto tempo.
    Quel giorno, dopo l'entrata in scena di Namjoon, le ore sembravano volare. Ogni volta che Yoongi alzava gli occhi verso l'orologio si rendeva conto di quanto in fretta si accorciasse la distanza dal suo incontro con quel misterioso ragazzo di cui un tempo avrebbe saputo dire tutto e che, invece, adesso gli sembrava così lontano, inarrivabile. Non avrebbe mai pensato che bastasse qualche misero anno per creare una voragine tale tra persone un tempo così legate. Eppure, era esattamente quella la situazione che stava vivendo. Ripensò al fatto che da allora non aveva più voluto fare amicizia. Visto come erano andate le cose, aveva iniziato ad evitare le persone. Aveva il terrore dei legami, non tanto per quello che potevano fare a sè stesso, ma piuttosto per ciò che lui avrebbe potuto fare ad altri. Eppure, anche ammettendo che questo fosse un gesto umile, la sua rimaneva pur sempre codardia. Esatto, proprio così: lui era un codardo. Altrochè "io non fuggo". Non aveva fatto altro per tutta la sua vita, illudendosi comunque di essere forte, e perciò si faceva pena. Ma anche così, non aveva altre soluzioni, se non perseverare. Era questa la definizione che lui stesso aveva dato alla sua vita. Perseverare. Questo il suo motto, questa la sua forza. Tutto qui.
    Proprio per tale perseveranza – si sarebbe potuto definire quasi masochismo, a dirla tutta –, quando l'orario di lavoro terminò e Yoongi ebbe varcato la soglia, fiondandosi nella fredda sera invernale con la sua immancabile felpa di tre taglie di troppo, decise di svoltare a destra, verso il bar.
    Dieci passi, dieci miseri passi lo separavano dal suo destino. In fondo, anche lui era consapevole che un meccanismo era scattato, nel preciso istante in cui aveva aiutato Hoseok. Ormai non poteva più tirarsi indietro. Com'era già quel detto che aveva letto in chissà che libro, chissà quanti anni fa? Alea iacta est. Il dado è tratto.
    Dopo aver percorso i dieci passi più lunghi della sua vita, Yoongi entrò nel bar. Subito venne investito dal calore e da un buon profumo di caffè. Era un locale poco frequentato, al ragazzo era capitato spesso di passare lì davanti e non aveva mai visto un gran numero di clienti al suo interno. Si era chiesto spesso come facesse ad andare avanti, ma alla fin fine aveva sempre lasciato perdere la questione. Non era qualcosa su cui perdere troppo tempo. Quel giorno, però, era stranamente affollato. Dato che probabilmente quella sera ci sarebbe stata una partita di calcio, tutti i vecchi del quartiere erano riuniti intorno alla vecchia radio, in trepidante attesa. Sembrava fossero congelati in un secolo precedente, per i modi di fare. Intanto, quel vecchio aggeggio da antiquariato trasmetteva a basso volume This is Gospel, e i tavolini erano ancora addobbati con decorazioni natalizie.
    In qualche modo, entrando in quel luogo, Yoongi aveva la strana sensazione che il tempo si fosse fermato. Come se avesse appena varcato la porta di un universo parallelo.
    Inviduò in fretta Namjoon, dato che indossava gli stessi vestiti con cui era entrato nel negozio di dischi qualche ora prima. Non si era nemmeno tolto la giacca. Si sedette di fronte a lui, senza troppi convenevoli.
    -Il proprietario di questo locale è ricco, ha una catena di ristoranti tutti qui in zona, ma si ostina ancora a tenere questo vecchio bar, e ci lavora anche. Tutte le domeniche. E' qui che ha iniziato, ci è affezionato. Che assurdità.- Il minore, stretto nel suo cappotto nero come se fosse insensibile al caldo, lo salutò con questa frase. Yoongi non potè fare a meno di notare quanto flebile fosse la sua voce. Non aveva più niente della tonalità calda e rassicurante che le era propria un tempo. In effetti, però, anche guardandolo in faccia, sembrava diventato il fantasma di sè stesso. Viso smunto, pelle chiara, spesse occhiaie a cerchiargli gli occhi. Non doveva stare troppo bene, questo il maggiore lo intuì subito. Comunque, decise di non farci troppo caso. Non erano affari suoi, dopotutto.
    -Allora, che vuoi?- Il tono sbrigativo, senza farsi troppi scrupoli aveva ignorato l'osservazione del ragazzo che gli stava di fronte. Voleva arrivare subito al dunque.
    -Mmh, okay, parliamo subito di quello allora. Come saprai da Hoseok, Seokjin è tornato. Come lui sia venuto a saperlo, questo non posso dirlo. Ma lui sa. E io mi fido. Quindi... Insomma, volevo chiederti che cosa avevi intenzione di fare.- Yoongi continuava ad avere l'impressione, ogni volta che Namjoon parlava, che quest'ultimo non aprisse bocca da tanto tempo. Intanto era arrivata la cameriera a prendere le ordinazioni. Il più piccolo prese un cappuccino, mentre Yoongi, tentando di ignorare gli sguardi straniti della ragazza mentre lui ordinava, optò per una gazzosa. Passarono i minuti, senza che qualcuno osasse rompere il silenzio che era calato sui due. Arrivarono le ordinazioni e, soltanto dopo che Namjoon ebbe terminato il lungo processo di zuccherare la sua bevanda, il maggiore si decise a parlare.
    -Perchè dovrei fare qualcosa? Non voglio avere niente a che fare con tutto ciò.- Yoongi fece tintinnare il ghiaccio nel suo bicchiere, squadrando il suo interlocutore con uno sguardo altrettanto freddo. Non gli piaceva affatto la piega che aveva preso il discorso.
    -Beh... in fondo era tuo, anzi, nostro amico, no? E non c'è solo questo. Ormai siamo tutti coinvolti nel suo ritorno, più di quanto credi. Che lo vogliamo o no, è arrivato il momento di affrontare il nostro passato, e tutto ciò che è successo quel giorno. Anche io ho paura. Però, le cose si stanno già muovendo. Mentre noi siamo qui fermi a chiacchierare, il padre di Taehyung ha denunciato la sua scomparsa. Non solo, Jungkook non è rintracciabile.-
    Ascoltando il quadro della situazione Yoongi non seppe pensare altro che "Che cazzo sta succedendo? Qui sembrano tutti impazziti. Namjoon che si fida delle parole di un drogato, cioè parole senza alcun fondamento logico; Taehyung e Jungkook che scompaiono..."
    Il ghiaccio nel suo bicchiere tintinnò nuovamente, mentre rifletteva silenzioso. In ogni caso, la questione non lo interessava. Poi, anche se fosse, non sapeva concretamente cosa potesse fare lui.
    -E quindi, in tutto questo, che si fa?- chiese quindi.
    -Vorrei essere nella situazione da poter filosoficamente dire "quello che il tuo cuore ritiene più giusto", ma purtroppo non c'è tempo per lasciarti riflettere. Vedi se riesci a rintracciare Jungkook. Lui saprà dov'è Taehyung, spero.- rispose Namjoon.

    ****

    Quel giorno passò così per Taehyung, mettendo un piede davanti all'altro, ricordando i vecchi tempi e canticchiando. Verso sera si ritrovò in cima ad una piccola collinetta che dominava il paesaggio circostante. Da lì si poteva vedere la città, ancora in fervente attività, e il mare, piatto come una tavola. Gli era sempre piaciuto vivere in quella città, soltanto perchè era marittima.
    Si era sempre sentito raccontare che gli innamorati parlano alla luna; Taehyung parlava al mare. In quella massa informe e misteriosa, profonda, si sentiva reincarnato, e solo con lui sentiva di potersi confidare. Non era raro che tornasse a casa alle due di notte, soprattutto d'estate, con la scusa di essere stato ad una festa d'amici. In realtà, lui andava a sussurrare al mare. Ad esso aveva raccontato dei suoi errori, della stima che provava nei confronti di Seokjin, ma soprattutto adorava raccontare delle giornate trascorse con Jungkook. Non sempre però si sentiva in vena di sospirare segreti, allora quelle volte si metteva a narrare leggende, fiabe, storie e racconti che l'avevano colpito. L'importante, per lui, era parlare al mare. Era l'unica cosa che lo faceva stare in piedi.
    Il ragazzo se ne stette lì ad osservare il panorama finchè non venne sommerso dalle tenebre, e la città venne tempestata di luci. A quel punto, fece qualcosa di estremamente folle. Si mise ad urlare. Gridò finchè non si sentì osservato da qualcuno. Quel qualcuno se ne stava dietro di lui, in attesa di qualcosa, un suono, una parola, il silenzio. In cuor suo però, Taehyung già sapeva chi era quel qualcuno. Perciò, scelse la seconda opzione – una parola –, e dette voce ai suoi pensieri.
    -Ce ne hai messo di tempo a tornare, eh, Seokjin?-
  7. .
    Il sole filtrava dalle finestre della camera di Seokjin, attraverso le persiane ormai rotte e che, quindi, nonostante tutti gli sforzi del ragazzo, non si chiudevano più bene. Era il sole di una nuova giornata, una giornata che il giovane aveva un tempo amato, ma che negli ultimi anni aveva imparato ad odiare. Domenica. Il giorno più lungo e noioso di tutta la settimana, la cui unica consolazione era la possibilità di vedere il suo ragazzo. Eppure, ormai, neppure quell'evento gli regalava più gioie. Seokjin si era a lungo interrogato sul motivo, ma ovviamente non aveva trovato risposte. Lui, un ragazzo semplice e gioioso, trovava la sua vita una noia mortale. Probabilmente, gli era semplicemente passata la cotta adolescenziale nei confronti della vita e dell'amore stesso, e adesso stava consumando la sua pena: lo scontro con il mondo degli adulti, un mondo in cui lui si sentiva spesso un brutto anatroccolo, un mondo triste e incredibilmente noioso. Però, doveva ammettere una cosa a sé stesso, di cui era l'unico responsabile. Lui non amava più Taehyung. Taehyung... quel nome gli suonava così dolce, quando lo pronunciava, una volta. Adesso, tutto ciò che scatenava in lui erano sensi di colpa. Ma, in fondo, non sapeva quale fosse la cosa migliore da fare. Di sicuro non avrebbe potuto giocare ancora a lungo con i sentimenti del ragazzo, non se la sentiva proprio. Ma come dirgli che niente di quello che avevano provato nei tre anni della loro relazione esisteva più per Seokjin? Era una realtà troppo meschina da ammettere. Eppure, il venticinquenne doveva assumersi le sue responsabilità. Era o non era un adulto in fondo? Che cosa ci faceva lì a letto a tormentarsi come una femminuccia? Ma, per quanto dicesse, non riusciva ad impedirselo.
    Lo sguardo vuoto del ragazzo si spostò verso il muro davanti a sé, dove il sole batteva creando complicati ghirigori. Doveva essere una bella giornata, a giudicare dalla luminosità.
    Il suo cellulare emise un suono flebile, e Seokjin allungò il braccio per accendere il display.

    1 messaggio da Tae.

    Leggendo quella scritta, si lasciò andare in una smorfia triste. Non avrebbe potuto scrivergli in un momento peggiore. Suo malgrado, si decise a leggere cosa voleva da lui.

    “Ehi. Oggi sono libero, ti andrebbe di vederci? Mi hai detto di essere parecchio occupato ultimamente, però ho proprio voglia di vederti!” Il tutto accompagnato da un'emoji con le mani giunte.
    Seokjin affondò la testa nel cuscino. Si sentiva la persona peggiore del mondo, in quel momento. Avrebbe voluto gridare al mondo intero che no, non era affatto occupato in quel periodo, e che Taehyung avrebbe fatto meglio ad allontanarsi da lui presto, o si sarebbe scottato e ferito. E, cosa peggiore, a ferirlo sarebbe stato proprio lui, Seokjin in persona, quello di cui il ragazzo si fidava maggiormente. Esattamente. Seokjin avrebbe ferito la persona che più aveva a cuore.
    La testa del giovane riaffiorò dal cuscino e, dopo essersi liberato la visuale dai capelli scompigliati, si decise a rispondere.
    “Sì, ci sono! A che ora e dove vuoi che ci vediamo?”
    La risposta gli arrivò prontamente e lui, dopo averla letta, si diresse verso il bagno. Non ebbe il coraggio di guardare il suo riflesso nello specchio, per paura di avere troppo ribrezzo di sé stesso.
    Si chiedeva davvero come fosse arrivato a quel punto, lui, una persona sempre solare, forte e che coltivava una grande stima di sé. Probabilmente la quotidianità l'aveva rapito e aveva risucchiato una ad una quelle sue qualità. Nel silenzio di quella casa, regnava indiscusso il rumore dei suoi pensieri, accompagnato dai vari schiamazzi provenienti dalla strada.
    “Datti una svegliata, Seokjin.” si disse, mentre si preparava ad uscire. Non poteva permettere che quella tristezza con cui si era svegliato contaminasse anche Taehyung.

    *******

    Due minuti alle tre del pomeriggio. Taehyung, appoggiato al muro di una casa di fronte al luogo dell'appuntamento con Seokjin, picchiettava a ritmo il piede sull'asfalto sotto ai suoi piedi. Sembrava indifferente all'andirivieni delle macchine che sfrecciavano a poca distanza da lui, ma in realtà era sull'attenti, i nervi pronti a scattare. Nervoso come al primo appuntamento, si sentiva un adolescente. Ma in fondo, lui era sempre stato questo: un eterno giovane, che vedeva il mondo come se fosse sempre la prima volta. Si sentiva sempre fuori posto in quel luogo buio e scuro che era l'età adulta, ma non si dannava troppo per questo. Pensava semplicemente che, prima o poi, magari, sarebbe arrivato anche per lui il momento per maturare. Ma quel momento non era ora.
    Alzò lo sguardo, e si vide spuntare davanti la figura slanciata di Seokjin. Non sapeva da quanto lo stesse osservando, ma si augurava che fosse appena arrivato.
    -Jin, ehi! Come va? Sono contento di vederti, ogni tanto svagarsi fa anche bene. Se la tua vita si riduce al negozio e all'alloggio, finirai per marcire...-
    -Mmh, forse hai ragione. Ma ora sono qui no? Non pensiamoci!- fu la risposta del più vecchio.
    Qualcosa non va. Taehyung conosceva troppo bene Seokjin per non capire che c'era qualcosa di strano nel suo atteggiamento, ma non sapeva quale fosse la ragione. Deciso ad approfondire quella questione più avanti, si strinse semplicemente nelle spalle, reclamando il calore del suo cappotto logoro. Era la sua giacca preferita, avrebbe continuato ad usarla finchè non si fosse autodistrutta, però doveva ammettere che presentava ormai qualche difetto. Quando il freddo iniziava a farsi più pungente, non riusciva in nessun modo ad impedire al vento di trapassargli le ossa, con il risultato che si ritrovava spessissimo ammalato. Conservava ancora i ricordi di tutte le volte in cui Seokjin era andato a trovarlo nonostante le sue condizioni pietose. Nel ripensarci, non riuscì ad evitare di sorridere. Il maggiore lo notò, per cui Taehyung non potè evitare di condividere con l'altro questi ricordi per lui così preziosi.
    Il pomeriggio trascorse tranquillo, come lo erano di solito le loro domeniche. Taehyung amava l'ultimo giorno della settimana, perchè era l'unico momento in cui riusciva a sentirsi vivo, e ciò accadeva grazie ad una persona. Ogni domenica, al pensiero di poter vedere Seokjin, Taehyung si svegliava con un sorriso sul viso e pervaso da un calore pari a quello che si era impadronito di lui la prima volta che aveva visto quel ragazzo. Quando si erano messi insieme, non aveva potuto evitare di sentirsi il ragazzo più fortunato del mondo. Tra una foto e l'altra, però, le ombre presero il posto alla luce. Il giovane si guardò intorno, il naso arrossato dalla frescura. Anche se era soltanto novembre, da alcune case pendevano già le luci da festa, lampadine e neon che andavano a confondersi con i colori e le lampade ad intermittenza delle pubblicità e delle insegne dei locali. Quelle piccole lucine venivano sovrastate, eppure c'erano, lottavano senza spegnersi mai, nella speranza che qualcuno le notasse. Era questa la sensazione che provava Taehyung vedendole.
    Improvvisamente, come se nemmeno lui ne fosse consapevole, le sue gambe si bloccarono. Seokjin avanzò di qualche passo, per poi fermarsi e tornare indietro con un'espressione perplessa chiaramente visibile in viso.
    -Dimmi... cosa c'è, Seokjin? E' da tutto il giorno che ti comporti in modo strano. E' vero che sei bravo a recitare, ma io ti conosco troppo bene per non capire che hai qualcosa, indubbiamente.-
    Furono queste le parole che gli uscirono dalla bocca, parole che, se avesse conosciuto la risposta, probabilmente si sarebbe volentieri tenuto dentro.
    -Tae... non so bene come dirtelo.- Seokjin si torturava le mani fredde. Era visibilmente nervoso, anche se il tono di voce risultava pacato, forse giusto un po'più strozzato del solito. Guardò in alto, verso un punto non ben precisato del cielo. Non c'erano stelle. Poi, fissò gli occhi in quelli grandi e profondi di Taehyung, quegli occhi che l'avevano fatto innamorare. Si schiarì la voce e, alla fine di questo lento processo, dette finalmente voce ai suoi pensieri. -C-credo sia meglio prenderci una pausa.- Questa volta la voce gli uscì roca, rotta dall'agitazione e dal dispiacere che provava nel dire ciò che pensava.
  8. .
    Jungkook si svegliò di soprassalto. Non sapeva che ora era, ma non era di sicuro la sveglia ad averlo fatto alzare. Aveva la sensazione di aver fatto uno strano sogno, ma non se lo ricordava. Si passò la mano sul viso e, con sua sorpresa, sentì le guance bagnate di lacrime. Stava piangendo, ma non ne capiva la ragione. Poi, d'un tratto, come un fulmine a ciel sereno, i ricordi legati alla serata precedente riaffiorarono uno a uno. Si ricordava delle scritte sui muri della casupola, la rabbia di Taehyung, e la voce di Yoongi che tentava di rassicurarlo. Poi, tutto diventava buio.
    Guardò l'ora sul display dell'orologio sul suo comodino. Segnava le 6.30. Decise di alzarsi, tanto non sarebbe più riuscito a dormire. Aprì le tende, buttando la luce del primo mattino nella sua stanza. Con gesti lenti e silenziosi, poi, aprì la grande porta finestra che lo portava sul suo modesto balconcino. Abitando all'ultimo piano di un palazzo, da lì si poteva godere di una bella vista su tutta la città. Mentre il sole si alzava, a est, senza fare rumore, in quella grande città la vita ricominciava. E così Jungkook poteva vedere, dalla sua posizione, tanti uomini d'affari riversarsi per le strade, camminare frettolosi, indaffarati, con il telefono già all'orecchio. I negozianti alzavano la saracinesca e si preparavano ad una nuova giornata di lavoro. Il viavai delle macchine era già presente più che mai, e a volte si potevano sentire i rombi delle moto o le sgommate di qualche frenata brusca. Nel vedere questa tranquillità, il resto del mondo che ignorava il suo dolore, Jungkook non resistette più. E pianse, pianse inondato dai suoi pensieri e dalla consapevolezza che ciò che non avrebbe mai voluto capitasse, era appena capitato. Aveva perso Taehyung, e con molta probabilità non sarebbe mai più riuscito ad avere un'amicizia con lui. E tutto per colpa di Seokjin. Il solo pronunciare quel nome gli mandava rabbia, eppure sapeva benissimo che in realtà erano soltanto scuse, che non poteva incolpare quello che era stato il suo modello di vita cinque anni prima soltanto per liberarsi di un peso. Ma come avrebbe fatto adesso, senza colui che manteneva in qualche modo stabile il suo equilibrio mentale? La sua vita era un enorme castello di carte, che reggeva soltanto grazie alla presenza di Taehyung. Ora, senza di lui, Jungkook sapeva che sarebbe crollato. Non era in grado di sostenerne il peso, era una persona debole e si odiava per questo.
    Si trascinò verso il bagno. Lo specchio, suo crudele compagno di vita, non potè evitare di fargli ammirare i suoi splendidi occhi rossi e i numerosi lividi di cui era cosparso il suo corpo. Il ragazzo aveva smesso ormai da anni di domandarsi se quei lividi provenissero dalle botte dei bulli, o da quelle che riceveva quando si metteva in mezzo ai litigi tra i suoi genitori. In fondo, cercarne l'origine non aveva scopo. Non cambiava il fatto che il suo corpo fosse coperto di bolli e graffi, perchè essi restavano vividi sulla sua pelle, e il dolore glielo testimoniava. Con una scrollata del capo, dopo aver afferrato i primi vestiti che aveva trovato, uscì di casa. Arrivò a scuola con un ritardo considerevole, ma poco gli importava. Era insensibile a tutto, ormai. Fece finta di non sentire le risate mal soffocate dei suoi compagni di classe quando fece la sua entrata. Si subì in silenzio la sgridata del professore, senza ribattere in alcun modo. Poi, quando la tortura finalmente finì, si diresse verso il suo banco. La sua mente, com'era prevedibile, non aveva la minima intenzione di seguire il noioso discorso del professore e quindi il quindicenne ben presto si ritrovò a viaggiare in un mondo accessibile soltanto a lui, il mondo delle sue paure e delle piccole paranoie quotidiane. C'erano troppi interrogativi che affollavano i suoi pensieri, uno dopo l'altro s'insinuavano nella mente già confusa del ragazzo che, però, non sapeva come rispondere a nessuno di essi. Innanzitutto, doveva capire com'era tornato a casa. L'unico modo per scoprirlo, però, consisteva nel parlare con Yoongi. E no, Jungkook avrebbe preferito che gli venisse sottratto un rene, piuttosto che andare ad affrontare il maggiore. L'unica cosa peggiore, in quel momento, era imbattersi in Taehyung.
    Per non parlare poi delle strane scritte che popolavano le mura del loro rifugio. Chi era stato a imbrattare tutto quanto? Poteva realmente trattarsi di Seokjin? Inevitabilmente un brivido gli percorse tutta la schiena. Gli sembrava di risvegliare un fantasma dal suo sonno eterno, pensando ciò. Eppure Seokjin era veramente morto? Nessuno lo sapeva con certezza. Era semplicemente scomparso nel nulla, e tutti l'avevano dato per spacciato dopo alcuni mesi di ricerche invano.
    Infine, Yoongi che ci faceva in quella capanna? Jungkook sapeva per certo che negli ultimi anni soltanto lui e Taehyung erano ritornati in quel luogo, per cui per quale ragione Yoongi aveva deciso di tornarci proprio quella sera? Di nuovo, l'unico modo per sapere era parlarne direttamente con il ragazzo.
    Jungkook sospirò. Era diventata la sua attività preferita nell'ultimo periodo. Tali e tanti pensieri gli affollavano la mente che, per un po', dimenticò pure il suo problema con i compagni di classe.
    Quando la campanella suonò, si fiondò fuori dalla classe come un treno. Scese i gradini a due a due e, appena fu in strada, si mise a correre come un forsennato. Direzione: casa di Taehyung. Gli era improvvisamente venuto un enorme dubbio. In realtà, per quanto il quindicenne sentisse la mancanza del maggiore, la paura di vederlo era decisamente superiore. Per questo, non stava andando a casa dell'amico per incontrarlo, nè per parlargli. Già sapeva che non avrebbe voluto sentire ragioni, e al pensiero Jungkook ebbe una fitta al cuore. Aumentando ancora il passo della corsa, però, ricacciò indietro le lacrime, e fissò la sua mente sul motivo della visita a casa Kim. Voleva sapere dove fosse. Perchè era certo che avesse saltato scuola, e forse adesso se ne stava a passeggio da qualche parte o, ancora peggio, era alla capanna a tormentarsi aspettando il ritorno di Seokjin. Per questo, voleva assicurarsi che fosse a casa. Almeno così non si sarebbe preoccupato troppo. Dopo quello che era successo al loro amato hyung, Jungkook aveva la fobia delle sparizioni. Come biasimarlo, dopotutto?
    Senza ormai più fiato in corpo, arrivò finalmente alla casa tanto cercata, ma la risposta che ottenne fu proprio quella che lui aveva temuto tanto. Taehyung non era in casa.
    Stava già per andarsene quando la signora Kim aggiunse:
    -Se vuoi, però, lo puoi aspettare qui insieme al suo compagno di classe.-
    Jungkook non potè evitare uno sguardo perplesso. Tae non gli aveva mai parlato dei suoi compagni di classe, ma non gli risultava che avesse tanti amici a scuola. Quindi che cosa ci faceva quel ragazzo lì?
    Dimenticata quindi la paura di incontrare il maggiore, spinto dalla curiosità di conoscere quel suo misterioso rivale – non poteva nascondere una punta di gelosia e invidia nei confronti di quel ragazzo che vedeva il suo Taehyung ogni giorno – decise di entrare.
    Ma la sorpresa quando si trovò davanti il volto di quel diciassettenne fu più grande di quanto si potesse aspettare. Infatti, d'impulso, gli uscì dalle labbra un -Jimin?!- quasi gridato.

    I due aspettarono in silenzio che Taehyung si facesse vivo. Lo attesero per ore, evitando l'un l'altro di incrociare lo sguardo, per paura di provare più disagio di quanto non ne sentissero già in quel piccolo soggiorno di casa Kim. La tensione tra i due era palpabile e la moglie del padrone di casa, dopo i primi insuccessi nel tentativo di alleviarla un po', decise di arrendersi. Per quanto fosse una madre fantastica – per gli standard di Jungkook, che erano comunque piuttosto bassi – non eccelleva sicuramente in doti comunicative.
    Alla fine, quando le ombre iniziavano ad indugiare al di là della finestra, Jungkook, memore del suo antico timore, si alzò e se ne andò, senza dire una parola. Jimin, dopo un po', lo seguì. Per un breve tratto i due camminarono distanti, come se fossero due sconosciuti. Ma poi, d'improvviso, Jimin dette voce ai pensieri di entrambi, pensieri che Jungkook aveva tentato a tutti i costi di ignorare ma che, esposti in modo così evidente, non riusciva più ad evitare.
    -Mi dispiace per quello che ti ho fatto.-
    Il quindicenne, pur fermandosi, non si girò. Si sentiva gli occhi umidi, e non voleva che l'altro ragazzo vedesse che era così fragile. Suo malgrado, si ritrovò a percorrere tutti gli eventi di quel giorno nella memoria. Sapeva benissimo a cosa si riferiva il diciassettenne, anche se probabilmente avrebbe preferito dimenticare.

    Era successo poco tempo dopo la sparizione di Seokjin, con il seguente scioglimento del gruppo. Jungkook aveva incontrato Jimin ad una festa. Sulle prime non c'era stata interazione tra i due, impacciati a causa del dolore che condividevano, ma a cui non sapevano dare forma. Poi, però, il più vecchio, dopo qualche drink, gli si era avvicinato con un sorrisetto malizioso sulle labbra. I due avevano parlato per un po', finchè...

    La voce del più grande interruppe il filone dei suoi ricordi.
    -Scusami per averti baciato.-
    Il quindicenne, al suono di quelle parole, deglutì, ma non rispose. Così, l'altro continuò.
    -Io... Ero amareggiato. A-a quel tempo Taehyung mi piaceva veramente tanto. Penso se ne fossero resi conto tutti... Per cui, quando ho visto che, nonostante la nostra muta decisione di non frequentarci, voi due avevate continuato ad essere amici, io...- Si interruppe. Era evidente che anche a lui pungessero, quei ricordi. -Io sono impazzito di gelosia. Non facevo che chiedermi perchè lui avesse scelto te, e non me. Cos'avevo io che non andava? Non riuscivo, nè riesco adesso, a spiegarmelo. Ero disperato. E così, ho preso quella decisione improvvisa. Volevo prendermi una piccola vendetta.-
    -E hai pensato bene di rubarmi il mio primo bacio.- A quel punto, Jungkook non ce la fece più a reggere, e scoppiò a piangere. La sua malcelata debolezza l'aveva colpito e affondato, quel giorno.
    -S-si... Però vedi, non sono qui perchè voglio essere perdonato. Sei liberissimo di non farlo, non sarebbe nemmeno giusto se tu prendessi questa decisione. Volevo solo scusarmi, adesso che ne ho finalmente la possibilità, e dirti che... stanne certo, la mia punizione l'ho avuta.-
  9. .
    1.

    A Seokjin non era mai piaciuta l'idea di fare il fioraio. Non che avesse qualcosa contro i fiori, che li odiasse o ne fosse allergico. Semplicemente, il fatto di fare un lavoro così strano per un uomo, non gli era mai andato giù. In fin dei conti, succedeva anche troppo spesso che un nuovo cliente, arrivato nel negozio, vedendosi comparire davanti un uomo, strabuzzasse gli occhi pieno di stupore. Lo stereotipo che si era creato da secoli sul fatto che le fioraie potessero essere solo donne era duro a morire anche per i suoi clienti abituali, figuriamoci per i novellini.
    Tuttavia, nonostante questi piccoli incidenti di percorso - a cui si andava ad aggiungere il fatto che lui, il fioraio, non lo facesse di sicuro per scelta, ma per necessità - alla fine aveva iniziato ad apprezzare il suo lavoro. Riusciva, tramite quell'occupazione, a coltivare la sua vera passione: la psicologia. Infatti non c'era cliente che, nell'entrare nel suo negozio, non esprimesse le sue emozioni. Queste a volte uscivano fuori tramite la voce e la sua intonazione, altre invece tramite lo sguardo. Impercettibili o chiare, esse risultavano sempre visibili a Seokjin che, in tal modo, riusciva ogni volta a soddisfare i desideri della clientela. C'era chi entrava nel negozio con aria mesta e occhi lucidi, e allora Seokjin aveva l'educazione di non chiedere i motivi per cui volesse quei fiori. Altre volte, capitava qualcuno davvero contento. Ma, in realtà, i suoi clienti preferiti erano quelli che entravano un po'impacciati, con l'aria imbarazzata e titubante. Quando arrivavano questi ultimi, a Seokjin veniva sempre voglia di sorridere: anche se non lo dimostrava mai, lui era un tipo davvero romantico, e si emozionava per i gesti più piccoli. Inoltre, quei fugaci incontri gli riportavano sempre alla mente la sua adolescenza, quel mondo che aveva abbandonato a malincuore, in cui aveva vissuto tutte le emozioni appieno. In conclusione, si poteva dire in una certa misura soddisfatto del lavoro che faceva, sia perchè lo distraeva dalla monotonia delle giornate autunnali – era sempre stato meteoropatico, lui -, sia perchè passava intere giornate a contatto con le persone e con le emozioni che portavano con loro.

    Per questo motivo Seokjin, quando vide arrivare un cliente totalmente apatico, non potè non stupirsi. Per quanto cercasse la più impercettibile emozione da parte di quest'ultimo, non riusciva a trovare altro oltre ad una forte sensazione di... vuoto. Nulla che gli facesse capire perchè quell'uomo si trovasse lì, niente che gli facesse conoscere un pezzo della vita del suo cliente. Alzò un sopracciglio, perplesso. Questa sconfitta non gli andava giù. Per quanto fosse un tipo decisamente paziente, era anche estremamente curioso, e il fatto di non capire nulla di una persona lo feriva nell'orgoglio. Suo malgrado, dopo aver atteso titubante per qualche secondo che il cliente iniziasse a parlare, chiese con gentile distacco:
    -Ha bisogno?-
    Nonostante il cliente fosse di poco più giovane di lui - o almeno, così sembrava, secondo la stima di Seokjin - lui aveva imparato che l'educazione era sempre importante, e che era meglio partire sempre con il ben più cortese tono del lei, piuttosto che quello amichevole del tu. Che il cliente si sentisse a disagio per tutta questa sua formalità, personalmente non gli importava granchè.
    Quando quella domanda giunse alle orecchie dell'interlocutore, quest'ultimo sembrò risvegliarsi dai suoi ignoti pensieri, e rispose.
    -Ah... Ah, sì. Avete delle camelie?- Chiese. -Rosa.- precisò poi. Quel tono più marcato che aveva usato per precisare il colore delle camelie a Seokjin parve decisamente importante. Sapeva bene che cosa significassero quei fiori, e nello specifico anche quel colore. Erano simbolo di mancanza, una mancanza impossibile da cancellare. Quindi il fioraio reputò che non fosse proprio argomento su cui indagare, e lasciò perdere. La sua curiosità finiva lì, un attimo prima di invadere la privacy della gente. A lui bastava conoscere i sentimenti delle altre persone, senza indagarne a fondo fatti personali.
    -Certo, ne vuole una o un mazzo?- rispose quindi. Aveva avuto la conferma che, ancora una volta, le sue abilità di psicologo erano valide quanto bastava per permettergli di essere sicuro delle sue capacità, e ciò gli era sufficiente.
    -Va bene un mazzo, grazie.-
    Senza aggiungere una parola, si diresse verso il luogo dove si trovavano le camelie e, dopo aver scelto quelle che avevano l'aspetto migliore, si dette da fare per creare un bouquet. Quando lo finì, sorrise soddisfatto ammirando il piccolo capolavoro che gli stava tra le mani. Senza falsa modestia, doveva ammettere che gli era venuto proprio bene. Dopo aver pagato, il cliente se ne andò da dove era venuto, con la medesima espressione apatica. Seokjin alzò le spalle e, decidendo di non curarsene più, ritornò al suo lavoro.

    Quando uscì dal negozio era già buio. Questo gli mise addosso un po'di malinconia. Odiava il buio, la sensazione che gli provocava il non sapere che cosa si nascondesse dietro ogni angolo del mondo che lo circondava lo lasciava in un perenne stato d'angoscia. Lui era già un adulto, eppure non riusciva a togliersi di dosso quella paura che, di solito, i bambini si lasciavano alle spalle una volta finite le elementari. Faceva freddo quel giorno d'autunno, le foglie secche ricoprivano le grigie strade, e tutto trasmetteva una certa malinconia. Come se l'inverno avesse deciso di portarsi via tutt'a un tratto i bei colori vivaci tipici della stagione che lo precedeva. Seokjin scacciò dalla mente questi pensieri, quando improvvisamente si accorse di una cosa: aveva ripreso a pensare allo strano cliente di quella mattina. Nonostante in principio non ci avesse fatto troppa attenzione, non riusciva ad evitare di ammettere il fatto che l'avesse terribilmente incuriosito. In realtà non sapeva bene nemmeno lui cosa l'avesse davvero attirato di quella persona, ma c'era qualcosa che lo spingeva a... volerlo conoscere più a fondo. Forse era quell'aria di mistero che si portava appresso, Seokjin non avrebbe saputo dirlo, ma si ritrovò a sperare di incontrarlo ancora, anche se sapeva benissimo quanto tutto ciò fosse altamente improbabile.

    Namjoon amava la notte. Si avvicinò alle grandi finestre del suo alloggio. Nel completo buio di quella casa, poteva osservare ogni piccolo dettaglio di ciò che succedeva nella frenetica Seoul, città che non era in grado di dormire nemmeno quando il mondo le imponeva di farlo. Guardò con occhi vuoti le luci della città, e ascoltò il viavai delle auto per la strada. Tutto quello gli dava una sensazione di calma perenne, come se il tempo non andasse né avanti, né indietro, e lo consolava. In fondo, il suo tempo aveva smesso di scorrere da più di un anno, ormai. E provare almeno una volta al giorno la gradevole sensazione di non essere lasciato indietro da tutto ciò che lo circondava, lo tranquillizzava. Per questo amava la notte. Era l'unico momento in cui lui era capace di vivere con serenità, come un giovane della sua età avrebbe dovuto effettivamente fare.
    Si diresse verso la credenza accanto a lui, e con occhi vuoti passò lo sguardo sulle foto incorniciate che erano state appoggiate sopra. Non aveva mai avuto il coraggio di toglierle. Ogni volta che si perdeva ad osservarle, non poteva fare a meno di pensare ad una frase di una poesia che a lei piaceva tanto.

    E ora che non ci sei, è il vuoto ad ogni gradino.

    Così recitava quella poesia malinconica. Namjoon si era a lungo interrogato su cosa avesse provato il poeta scrivendo quella frase così profonda ma al tempo stesso così triste. Ora che l'aveva compreso, però, avrebbe preferito tornare indietro, tornare ad interrogarsi innocentemente sul suo significato. Per lui, infatti, da quando lei se n'era andata era tutto incredibilmente vuoto. Non capiva più quale fosse il motivo che lo teneva in vita.
    Vuoto era il mondo, pieno di gente buona soltanto a pensare ai suoi interessi, vuote erano le giornate così prive di senso, vuota era la vita senza significato alcuno, vuoto era Namjoon stesso, privato dei suoi sentimenti che lei, scomparendo, aveva portato con sé.
    Sospirò, decidendo di mettere fine a quei pensieri da mal di testa. Dormire era ciò che gli serviva di più in quel momento.
  10. .
    "Vi siete dimenticati di me?"
    In vernice rossa, questa frase svettava su tutte le pareti della catapecchia. I mobili polverosi e i pochi oggetti presenti al suo interno erano stati tutti brutalmente spinti di qua e di là, con il risultato che nella capanna regnava il caos. I due ragazzi si guardarono, attoniti. Cosa era successo lì dentro?
    Ci volle un po'di tempo perchè Taehyung realizzasse effettivamente ciò che gli si trovava davanti. Anche a quel punto, però, tutto ciò che uscì dalla sua bocca fu un sussurro.
    -Seokjin...-
    Jungkook, tuttavia, udì perfettamente quell'unica parola uscita dalla bocca del maggiore e ciò parve risvegliarlo dal suo stato confusionale.
    -Ma cosa stai dicendo?- Rispose quasi acidamente. Era nervoso. Il solo sentire pronunciare quel nome al maggiore gli provocava una fitta di dolore, non poteva resistere. Seokjin era un argomento tabù tra loro, Taehyung lo sapeva e allora perchè l'aveva tirato fuori proprio in quel momento? Jungkook tremava. In cuor suo, già sapeva la risposta e, forse proprio per questo, ne aveva ancora più paura. Già sapeva dove voleva andare a parare il maggiore, ma non voleva accettarlo, non voleva che lo dicesse.
    -Sto dicendo che è stato Seokjin a scrivere queste... queste...- Taehyung si interruppe. Non sapeva nemmeno bene come definirle, quelle parole, così la frase gli morì in bocca.
    "Lo ha detto. Lo ha detto sul serio..." Il quindicenne non riuscì più a resistere, e sbottò.
    -Ma come puoi dire una cosa del genere? Jin è morto! E' morto cinque anni fa!-
    Non ci volle molto al più piccolo per sentire il dolore che seguì lo schiaffo mollatogli da Taehyung. Tutto ciò che successe dopo, a Jungkook parve di una lentezza inesorabile. Il suo migliore amico lo mollò lì senza una parola, dopo avergli regalato però uno sguardo tra il disprezzo e la rabbia. Fu così che, ancora una volta, si ritrovò da solo. Non capiva nemmeno bene cosa avrebbe dovuto o potuto fare in quel momento. Di sicuro non poteva andare alla ricerca del maggiore. Era scontato che lo odiasse, a quel punto. Così, restò per un bel po'a fissare il vuoto, stordito da una realtà che non riusciva ad accettare. Seokjin... Come poteva essere vivo? Era scomparso cinque anni prima senza lasciare traccia e ora, d'un tratto, tornava così, semplicemente? Ignorando tutti gli sforzi che ognuno di loro aveva fatto per andare avanti senza di lui? Eppure c'era qualcosa, nei pensieri di Jungkook, che lo faceva sentire patetico. Forse, in fin dei conti, non era altro che uno stupido egoista. Dentro di sè, non voleva che Seokjin tornasse. Era questa la verità, una verità che lo faceva sentire stupido. In fondo, come si poteva essere gelosi di un morto? Ma nonostante ciò, Jungkook non poteva evitare di desiderare Taehyung soltanto per sè. Quel ragazzo, con i capelli perennemente spettinati, il sorriso squadrato, le mani grandi e le occhiaie onnipresenti sotto gli occhi inespressivi, era tutto il mondo del quindicenne. Non sopportava l'idea di vederselo portare via da qualcuno sparito da ormai cinque anni e che era tornato ad incombere nelle loro vite come un macigno.

    *****

    Sottili volute di fumo salirono verso il cielo. Yoongi le osservò svanire nel buio, senza pensare a niente. Aveva ancora addosso la spiacevole sensazione che aveva provato quel pomeriggio a causa delle parole di Hoseok. Se le ripeteva nella mente, le sussurrava al vento, come se questo lo ascoltasse, nel tentativo di trovare una risposta che non gli sarebbe comunque giunta. Se ci avesse riflettuto ancora un po'sopra, era sicuro che avrebbe avuto un esaurimento. Eppure non riusciva a rilassarsi, non riusciva a fare altro. Sentiva -e sapeva, nonostante stesse in tutti i modi cercando di ignorarlo- che ogni suo nervo era in fibrillazione. Non riusciva a capire come si sentiva in quel momento. Era in confusione totale. Da un lato, il pensiero che Seokjin potesse ritornare lo rendeva desideroso. Per quanto non volesse ammettere a sè stesso, in fondo, quel ragazzo gli mancava. Dall'altro, però, al tempo stesso lo opprimeva e lo intimoriva. In fondo, ciò che Yoongi associava al possibile ritorno di Seokjin, era il risveglio di un morto.
    Un brivido gli attraversò le ossa, forse più per il pensiero che gli aveva appena attraversato la mente che per il freddo della notte invernale. Seduto sui gradini di fronte a casa sua, si guardò intorno, gettando i piccoli occhi sul mondo ormai addormentato. Vide in lontananza un'auto avvicinarsi sempre più, finchè non la riconobbe come la macchina di suo padre. Dopo pochi secondi quest'ultimo uscì dal garage, ma il silenzio tra i due fu assoluto. Era ormai da anni che non avevano più nulla da dirsi.
    Yoongi sospirò. Aveva ormai perso il conto di tutte le volte che aveva sospirato in quella giornata così stressante. Si strinse maggiormente nella sua felpa troppo leggera per una serata d'inverno, poi tirò un'altra boccata dalla sua sigaretta. Stava temporeggiando, se ne rendeva perfettamente conto, ma non riusciva ad accettare l'idea di affrontare le proprie paure e i propri ricordi. Tornare in quel luogo avrebbe significato ripescare tutto il suo passato e confrontarsi con esso, ma Yoongi aveva paura -un'enorme e tremenda paura- di ferirsi più di quanto non fosse già. Ci aveva impiegato anni per lasciarsi indietro qualcosa che sapeva già che non sarebbe mai più ritornato, e ora si ripresentava in questo modo così improvviso? Nemmeno lui sapeva quale fosse il modo più giusto per reagire, di fronte ad un evento del genere. Non comprendeva come Hoseok potesse così semplicemente accettarlo, senza porsi delle domande.
    Il diciannovenne si alzò, abbandonando il duro gradino di marmo. Non poteva più rimandare qualcosa che doveva essere fatto. Non era lui in fondo quello che non fuggiva davanti alle difficoltà? Buttò il mozzicone per terra con forza poi, dopo essersi riavviato i capelli, si incamminò verso la casupola del suo passato. Sentiva che la sua vita stava per cambiare corso, come un treno che cambia improvvisamente binario per andare in una direzione totalmente diversa da quella iniziale. Eppure, in fondo, la sua vita fino a quel momento era stata proprio quello. Uno sconvolgimento continuo, ripetuti cambi di binario, talmente frequenti che l'avevano portato a chiedersi come potesse non essere, per sbaglio, tornato al punto di partenza.
    Yoongi si lasciò guidare dalle sue gambe che, in realtò, sapevano meglio di lui la strada che l'avrebbe portato in quel luogo. Arrivato al ben noto sentiero, non potè non stupirsi dell'ulteriore deterioramento che l'aveva colpito in quegli anni in cui lui non l'aveva più percorso. L'asfalto, già precedentemente vecchio e corroso, era divenuto ancora più sconnesso e pieno di buche.
    Alla visione di quella strada nuvole di ricordi si affollarono nella sua mente, ma erano nuvoloni neri come la pece. Sarebbe stato più semplice se avesse dimenticato. Deglutì, cercando di imporsi calma ma, per quanto ci provasse, non poteva impedire ai suoi nervi di tremare. Decise di avanzare e, aumentando poco a poco il passo, nel giro di poco tempo arrivò alla ben nota casupola. Appena la vide, si accorse che c'era qualcosa che non andava. La porta era socchiusa. Ma lui se lo ricordava bene, l'ultimo incontro tra loro sette lì dentro, in seguito alla morte di Seokjin. Loro... Tutti insieme, avevano sbarrato la porta, chiudendola con un lucchetto. Che ci fosse entrato qualcuno? Preso dal panico, Yoongi si fiondò al suo interno. Però la sorpresa fu ancora più grande quando riconobbe la figura che gli dava le spalle, accovacciata a terra. Era buio, ma avrebbe riconosciuto quel fisico ovunque.
    -...Jungkook? Che ci fai qui?-
    Nessuna risposta. Solo allora Yoongi si accorse che il giovane stava singhiozzando. Preoccupato, quindi, gli si avvicinò.
    -Ehi, Jungkook, che succede?-
    Ancora una volta, nessuna risposta. "Insomma, questa sì che è una situazione proprio assurda..." si ritrovò a pensare il diciannovenne. Allungò il braccio verso il quindicenne, tentando di dargli un po'di consolazione, per quanto servisse. Yoongi non era mai stato un ragazzo particolarmente espansivo, perciò trovarsi per ben due volte in una situazione di quel tipo nella stessa giornata l'aveva mandato nel pallone. Per un po'in quella stanza si sentirono soltanto i singhiozzi di Jungkook, poi calò il silenzio. Dopo qualche secondo, Yoongi si ritrovò con il corpo del quindicenne addosso a lui, svenuto.
    "Non avrei dovuto lamentarmi dell'assurdità degli eventi di oggi, mi sa. Non credo che di questo passo una giornata del genere la dimenticherò facilmente..."fu il suo unico commento.
    Alzando gli occhi al cielo, però, notò che sulle pareti di quella capanna c'era qualcosa di strano.
    "Vi siete dimenticati di me?" c'era scritto su ogni muro.
  11. .
    Jungkook e Taehyung uscirono dalla casa di soppiatto, quasi stessero per commettere qualcosa di illegale. In realtà, ogni volta che decidevano di tornare in quel posto scendeva su di loro una strana atmosfera. Una sensazione inusuale, di attesa, di rimpianti e di cose non dette. Il fatto era che non era di sicuro piacevole, per nessuno dei due, tornare là. Eppure, dovevano andarci. Era come se quel luogo li chiamasse. Sentivano semplicemente il bisogno di recarvisi ogni tanto, e ciò di norma succedeva ad entrambi nello stesso momento. Non avrebbero saputo spiegare per quale strana legge sovrannaturale ciò accadesse ma, di fatto, le cose stavano proprio così.
    I due ragazzi sgusciarono silenziosi per le strade vuote, quasi timorosi di rompere quell'atmosfera solenne propria della sera in periferia. Non un'anima viva si aggirava per le strade che, in tal modo, risultavano soltanto una striscia desolata di asfalto. I lampioni qua e là illuminavano il paesaggio circostante, fatto di palazzi e case povere e spoglie, da dove si potevano scorgere le luci delle case, l'unico segno di vita di quella zona. A Jungkook non era mai piaciuto il buio. Con tutti i suoi misteri, l'oscurità gli lasciava sempre una spiacevole sensazione addosso. Ovviamente, si guardava bene dal dirlo al maggiore. Dal canto suo, Taehyung amava il buio. Aveva sempre pensato che si sposasse perfettamente con la sua personalità. Misterioso, sfuggente, ma anche pericoloso e spaventoso. Lui era esattamente questo. Ma ovviamente si guardava bene dal dirlo a qualcuno.
    Dopo una passeggiata di una buona mezz'ora in cui incontrarono soltanto un cane che, perso il padrone, avanzava senza meta, arrivarono ad un bivio. La strada principale proseguiva diritta, per poi congiungersi alla statale qualche chilometro più in là, mentre verso destra da essa si dipartiva un vicolo secondario, il cui asfalto vecchio e corroso aveva iniziato a saltare in più punti, creando qua e là buche e tratti sconnessi. Se i due giovani non avessero conosciuto a memoria ogni singola imperfezione di quella strada, probabilmente avrebbero avuto bisogno di una pila. Ma così non era. Quindi, Taehyung si avviò deciso verso il luogo tanto atteso. Dopo un po'di esitazione, lo seguì anche Jungkook. Infatti, il vicolo era completamente al buio e ciò un po'lo intimoriva. Però, in fondo, era arrivato fin lì... Che senso aveva tirarsi indietro? Alzò lo sguardo verso il cielo limpido e i suoi occhi incontrarono la luna. Era piena e, con la sua luce riflessa, illuminava tutti i campi lì attorno. Confidando nella sua protezione, quindi, il quindicenne raggiunse il maggiore.
    Per la seconda volta in quella giornata, i due ragazzi erano silenziosi. Ognuno procedeva assorto nei propri pensieri, eppure entrambi sentivano nell'altro una presenza confortante. Non erano soli, si sentivano capiti senza bisogno di parole o sguardi. Era una sensazione piacevole, nuova, per tutti e due. Ad un certo punto, quando ormai stavano per arrivare nel loro posto, Taehyung iniziò a fischiettare un motivetto. Jungkook non conosceva quella canzone, ma essa aveva un che di malinconico. Per un attimo la sua concentrazione fu assorbita totalmente dall'ascolto di quella strana musica, al punto che, quando il maggiore si interruppe, il più piccolo trasalì.
    -La conosci?-
    -Ehm... A dire il vero, no.-
    -E' "Kiss the rain" di Yiruma. E' un pianista. L'ho ascoltata l'altro giorno, e me ne sono innamorato.-
    E me ne sono innamorato. Al sentirlo pronunciare queste parole, Jungkook si imbarazzò. Ringraziò mentalmente il buio che, per una volta, l'aveva aiutato, poi rispose.
    -E'-è davvero... molto bella. Quando tornerò a casa la ascolterò di sicuro.-
    Il silenzio calò nuovamente sopra i due che, camminando con passo spedito, raggiunsero infine quello che da anni ormai consideravano il loro posto. Poco prima di entrare, Jungkook si visualizzò mentalmente il luogo. In realtà, era poco più di una semplice baracca con una porta e una finestra, appartenuta a chissà quale pastore -o eremita- parecchio tempo prima. Per anni era rimasta in disuso, finchè loro sette non l'avevano trovata, circa cinque anni prima. Era stato un momento magico, quello. Il quindicenne lo conservava impresso nella sua mente come se l'avesse vissuto il giorno precedente, e si chiedeva se anche il suo hyung se lo ricordasse. Chissà quali pensieri attraversavano la mente del maggiore quando loro arrivavano in quel luogo? Il ragazzo non poteva negare di esserne curioso, ma non lo era mai abbastanza da osarsi a porre quella domanda a Taehyung. Inspirò profondamente. Poi, con la stessa lentezza, espirò, mentre sentiva che la proverbiale sensazione di nostalgia lo invadeva. Eppure, non era un sentimento che lo rendeva triste. Probabilmente, in realtà, andare lì lo faceva sentire sè stesso. Quando si rifugiava in quella piccola casupola si sentiva al di fuori del tempo, dimenticava tutti i suoi problemi e tornava a vivere davvero.

    Quel giorno c'era aria di novità. Taehyung se lo sentiva addosso, in tutti i pori della pelle. Lo stesso presentimento sembrava arrivargli da tutto ciò che lo circondava. La brezza fresca della notte, le piante che circondavano i due ragazzi, la sottile striscia di terra sotto ai suoi piedi. Tutto, ogni singola cosa, comunicava un senso d'attesa. Per questa ragione, se da un lato non vedeva l'ora di tornare nel loro posto, dall'altra parte ne aveva anche timore. Aveva paura che, se fossero entrati in quella baracca, la loro vita sarebbe stata stravolta ancora. Ciò, per quanto tentasse di negarlo, lo preoccupava enormemente. Cosa poteva succedere ancora? In realtà, però, la sua preoccupazione non era rivolta a sè stesso. Lui, ormai, era corrotto. Non poteva più tornare indietro, non poteva più aspirare ad una vita normale. No, lui era preoccupato per Jungkook. In cuor suo Taehyung sapeva quanto era fragile il minore, ed odiava sentirsi così tanto impotente. Se c'era una persona che lui avrebbe desiderato aiutare con tutto sè stesso, quella era Jungkook. Ma come poteva? Se non fosse stato attento, se si fosse avvicinato troppo al minore, avrebbe finito soltanto per distruggerlo, per portarlo a fondo con sè. Eppure, anche se l'unico modo per proteggere il suo amico era tenersi a debita distanza da lui, ciò gli faceva male. Terribilmente. Taehyung avrebbe desiderato aprirsi con quel ragazzo, sapeva che lui l'avrebbe di sicuro ascoltato, ma... non poteva. Non l'avrebbe fatto. Aveva deciso da tempo ormai. Non poteva tornare indietro.
    Ma cosa avrebbe fatto se le cose fossero cambiate? Se la loro realtà fosse stata stravolta ancora una volta, avrebbe lasciato Jungkook a lottare da solo? Ancora? Si sentiva male solo a pensarlo. "Taehyung, sei una pessima persona." si ritrovò a mormorare tra sè e sè.
    Quando arrivarono alla casupola, fu il diciassettenne a fare gli onori di casa, come di consueto. Ma quando aprì la porta, si trovò di fronte al cambiamento che lui aveva tanto percepito nell'aria quella sera.
  12. .
    -Come sarebbe a dire che è tornato?- esclamò Yoongi a voce un po'troppo alta. Era in preda all'ansia. Lui... Non poteva ritornare. Constatando che il minore non gli avrebbe risposto, gli si pose di fronte, costringendolo a guardarlo negli occhi. Hoseok ora non piangeva più. Il suo sguardo sembrava stralunato, perso in qualche luogo che soltanto il diciottenne pareva conoscere. Yoongi scosse la testa, infastidito. Come aveva potuto prendere sul serio quel ragazzo? Lo sapevano tutti, a scuola, che si drogava, e di sicuro in quel momento era sotto l'effetto delle sue care pillole. Sbuffò, annoiato. Si era cacciato in una situazione decisamente fastidiosa. Ora, avrebbe dovuto persino nascondere il fatto che il suo compagno di classe aveva fatto uso di stupefacenti durante l'orario scolastico. Come fare? Di sicuro non potevano tornare in classe, dove le lezioni erano sicuramente riprese, ma nemmeno potevano uscire dal repertorio (?) scolastico: il bidello, dalla sua casupola adiacente al cancello d'entrata, li avrebbe sicuramente visti, e in quel caso loro sarebbero stati sicuramente mandati direttamente in presidenza. D'un tratto, gli venne un'idea. L'infermeria! Era il posto più sicuro dove aspettare che l'effetto della droga finisse. Yoongi sperò soltanto che Hoseok avesse preso qualcosa di leggero, di modo che l'effetto non gli durasse troppo tempo. Facendo attenzione a non farsi vedere da nessuno, convinse il diciottenne a seguirlo. Quando, finalmente, dopo essere entrato nella stanza, Yoongi chiuse la porta dietro di sè, si concedette di lasciarsi andare ad un lungo sospiro di sollievo. Erano in salvo, adesso. Il diciannovenne andò a sedersi accanto ad Hoseok. Per un po', osservò il minore in silenzio. A tratti sembrava riprendere consapevolezza di sè stesso e di ciò che lo circondava, ma poi tornava ad isolarsi in una realtà che era sua e di nessun altro. Yoongi pensò che la droga avesse effetti interessanti sulle persone. Ma non per questo l'avrebbe mai provata. Lui, più che scappare da una realtà che gli faceva troppo male, preferiva viverla appieno, conservare quel dolore dentro di sè, e non dimenticare mai. Si sentiva un po'una spugna di mare, ma tutto sommato ormai ci era abituato. Aveva fatto del dolore la propria arma e la propria difesa. Se avesse deciso di scappare dalla propria vita, l'avrebbe sicuramente fatto in modo definitivo e irreparabile. Non era il tipo da scappatoie o mezze misure, lui.
    D'un tratto, però, gli venne in mente una strana domanda che ancora non si era posto fino a quel momento. Esattamente, perchè stava aiutando Hoseok?
    -E' solo perchè ti ha incuriosito cosa ha detto prima riguardo al suo ritorno. Solo per questo.- Non sapeva bene nemmeno lui se quella fosse la verità o soltanto un patetico tentativo di autoconvincersi.
    Dopo quello che a Yoongi parve un tempo infinito, Hoseok sembrò riprendersi del tutto. Yoongi fece quindi per alzarsi ed andarsene, ma venne bloccato dalle parole del minore.
    -Comunque, ero serio quando dicevo che sta per tornare.-
    Il diciannovenne, però, questa volta scelse di non farci troppo caso e, senza neanche voltarsi, uscì dalla stanza. In realtà, risentire quelle parole per una seconda volta gli aveva provocato un brivido lungo la schiena.

    ****

    Erano sempre le stesse immagini, quelle che si susseguivano davanti agli occhi di Jimin. Ogni singola notte, immerso nel buio più totale, vedeva le stesse scene presentarsi davanti alle sue iridi umide di lacrime e di paura. E allora, ogni volta, si nascondeva sotto le coperte del suo letto, tremante, come se queste potessero garantirgli una protezione dalle immagini che la sua stessa mente creava e, soprattutto, da sè stesso. All'inizio, quando queste allucinazioni avevano iniziato ad apparirgli di fronte, lui ne era rimasto terrorizzato. Ricordava la sensazione di disgusto e di timore che aveva avuto quando quella bizzarra malattia l'aveva colpito per la prima volta come se facesse parte della sua stessa pelle. Non riusciva a levarsela di dosso. Però, nonostante ciò, con il tempo la sensazione era andata affievolendosi. Certamente non poteva dire che gli facesse piacere avere allucinazioni ogni notte, ma si era dovuto rassegnare.
    Ed era così che, dopo l'ennesimo attacco d'ansia che seguiva abitualmente i suoi incubi ad occhi aperti, Jimin si ritrovava sveglio alle 3 del mattino anche il giorno prima del suo rientro a scuola. Il giovane diresse le sue iridi scure verso un punto che doveva corrispondere più o meno al soffitto. Sapeva già che, intanto, qualsiasi tentativo di dormire sarebbe ormai stato vano. Per quanto si sforzasse, attorno a sè non vedeva altro che buio, eppure per lui non c'era niente che fosse più piacevole di osservare ciò che lo circondava semplicemente per ciò che era. In certi periodi, le allucinazioni erano talmente frequenti che non riusciva più a distinguere realtà e sogno. Quindi, riconoscere l'oscurità così come si presentava era già un grande passo avanti, per Jimin.
    Con un sospiro rassegnato, il diciassettenne decise che avrebbe approfittato di quelle ore insonni per fare il punto della situazione. Era da un sacco di tempo che non andava a scuola. Per essere precisi, più o meno nove mesi. Quando l'anno precedente era terminato, e l'estate era tornata portando sè il caldo e il sole, avevano diagnosticato un tumore maligno al padre. Era incurabile, avevano detto. Da quel momento, la psiche già precaria di Jimin era completamente crollata. Se precedentemente le allucinazioni lo colpivano di rado, in seguito a quell'avvenimento avevano iniziato a presentarsi in modo sistematico.
    Con il sopraggiungere dell'autunno, poi, suo padre era venuto a mancare. Se n'era andato in silenzio, discretamente, esattamente come aveva vissuto la sua intera vita. In silenzio, discretamente. Jimin, però, quella vita così nascosta non era mai riuscito a sopportarla. Era anche a causa delle buffe idee dell'uomo se adesso si trovava solo. Però, per qualche strana ragione, dopo la sua morte aveva iniziato a ritenerle importanti. Aveva sentito tante volte la frase "capisci di tenere ad una persona soltanto dopo che l'hai persa". Eppure Jimin non avrebbe saputo dire se effettivamente teneva a suo padre. Il ricordo di quest'ultimo, infatti, scatenava in lui una sensazione agrodolce. Non che fosse scontento del rapporto che aveva con il genitore, che era effettivamente una persona molto comune anche in ambito famigliare. Però, ciò che il cervello del diciassettenne legava automaticamente alla memoria del padre era la ripresa delle allucinazioni.
    -Allucinazioni...- sibilò. Il suono stesso di quella parola gli provocava una fitta di dolore. Possibile che fosse caduto così in basso? Ancora non riusciva a credere di essere così debole. Ma la causa era una soltanto: lui era solo. E ogni volta che perdeva qualcuno, la ferita nel suo cuore si apriva sempre più.
    Dopo la morte del padre si era trovato solo contro il mondo, un mondo che gli chiedeva troppo perchè lui potesse reggerne il peso e che, però, in cambio non dava niente. In seguito a quell'avvenimento la sua famiglia si era disgregata. Da allora, nessun parente era più andato a trovarli, Jimin non sapeva bene spiegarsi il motivo. Probabilmente era perchè il dolore era troppo atroce da sopportare per chiunque. Forse, erano semplicemente mancate le parole. Oppure ancora, si erano rassegnati all'evidenza. Dopo un po', tutti erano semplicemente tornati alle loro vite, alle loro case accoglienti e alle famiglie affettuose. In fondo, se c'era qualcosa in cui l'uomo era straordinariamente bravo, quello era dimenticare. E così, il ragazzo e sua madre si erano trovati soli di fronte ad un mondo che non li voleva più, un posto superficiale e felice, con cui loro non avevano nulla da condividere. Inoltre, da quando il padre era venuto a mancare, il carattere già debole della madre era ceduto completamente, lasciando posto al fantasma della donna. In principio, i loro rapporti erano peggiorati, talmente tanto da arrivare quasi a non parlarsi più. Ognuno dei due pensava ai suoi problemi, senza preoccuparsi della situazione dell'altro. Quando però Jimin, tornando da una passeggiata, aveva trovato la madre stesa sul pavimento in una pozza di sangue, bianca come un cadavere, aveva capito che, forse, doveva essere lui a fare il primo passo. Doveva essere lui ad aiutare la madre. Non poteva permettersi di trovarsi più solo di quanto già non fosse. Così, quando la donna tornò a casa dopo qualche giorno in ospedale, decise che si sarebbe rimboccato le mani. Avrebbe messo da parte i suoi problemi, le allucinazioni e tutto il resto. Aveva una persona di cui prendersi cura, adesso.
    Il suono della sveglia gli giunse alle orecchie con più piacere di quello che si prova quando si prende un dieci in matematica e lui, più attivo che mai, si decise a scendere dal letto. Fece i gradini che lo portavano in cucina a due a due, ansioso com'era. Non riusciva nemmeno bene a decifrare cosa provasse davvero di fronte all'idea di ritornare a scuola. In fondo, non aveva amici ad aspettarlo, nè la scuola gli piaceva particolarmente. Eppure percepiva quest'evento come qualcosa che avrebbe spezzato la continuità delle sue buie giornate, e ciò lo rallegrava. Aveva soltanto timore per sua madre. Non voleva che facesse azioni avventate nella sua assenza. Però, negli ultimi tempi sembrava essere abbastanza stabile, ed era anche per questo motivo che aveva deciso di riprendere gli studi. Se la situazione fosse peggiorata ancora, ci avrebbe pensato in seguito.
  13. .
    Yoongi non aveva mai amato la scuola. Aveva sempre pensato che frequentarla, e prendere bei voti, fossero gli ultimi tra i suoi problemi. O meglio, non l'aveva sempre pensato. Una volta, aveva dato molta importanza allo studio. Ma negli ultimi cinque anni le cose erano cambiate parecchio, per tutti, e quindi la scuola era tornata ad occupare l'ultimo posto nella classifica delle sue preoccupazioni. E tutto sommato, nonostante ciò, era riuscito a cavarsela sempre, in un modo o nell'altro. Motivo per cui quando, l'estate scorsa, aveva visto che era stato bocciato, non aveva potuto trattenere un'esclamazione sorpresa. Insomma, non se l'aspettava proprio. Evidentemente aveva tirato un po'troppo la corda, quell'anno.
    Ma il peggio era arrivato quando aveva fatto una spiacevole constatazione: lui aveva solamente un anno in più di quei due, e c'erano grosse probabilità di finire in classe almeno con uno di loro, visto che erano in classi diverse. E non c'era nessuna cosa peggiore di vederli ogni santo giorno, dopo aver passato quei cinque anni a cercare di evitarli il più possibile, negando loro persino il suo sguardo. Quei due facevano parte del passato, di ricordi tristi che non sarebbero mai più tornati indietro, e che Yoongi aveva cercato con tutto sè stesso di insabbiare.
    Alla fine, con grande rabbia, aveva dovuto rassegnarsi all'idea di stare nella stessa classe di Hoseok. Nonostante le sue preghiere, com'era prevedibile suo padre non ne aveva voluto sapere di spostarlo in un'altra classe, soprattutto se il motivo era... la presenza di una persona. Infatti, il padre di Yoongi sapeva bene che a suo figlio non andava mai bene la compagnia di nessuno. Quindi perchè scomodarsi così tanto per un solo ragazzo? Alla fine il diciannovenne aveva dovuto cedere.
    Con suo grande sollievo, però, Hoseok sembrava della sua stessa idea: ignorarsi era senza dubbio l'idea migliore.
    Per questo gli sembrò alquanto strano quando, pochi giorni dopo la fine delle vacanze natalizie, il diciottenne gli si avvicinò, con chiara intenzione di volergli parlare. Yoongi, prima di degnarlo della sua attenzione, storse il naso. Aveva tanti e buoni motivi per non farsi andare a genio una chiacchierata con Hoseok. E poi era andato tutto così bene fino a quel momento, con il loro tacito accordo di ignorarsi a vicenda... perchè cambiare le cose?
    Suo malgrado, si decise ad ascoltarlo, per cui lo seguì attraverso il cortile della scuola. Dato che Hoseok non accennava a parlare, Yoongi iniziò ad osservarlo di sottecchi. Il ragazzo camminava a testa bassa, studiando la punta delle Converse sgualcite. Sembrava non fare a caso a tutto ciò che gli succedeva attorno, chiuso nel suo personale mondo. I capelli spettinati gli coprivano il volto, ma Yoongi riusciva a scorgere comunque delle profonde occhiaie attorno ad essi. E non solo quelle. Anche... Lacrime. Calde lacrime gli rigavano il viso, ma prima che Yoongi potesse chiedersi il motivo di esse, Hoseok alzò il viso, e parlò. Quello che uscì dalla sua bocca fu poco più che un sospiro, ma Yoongi riuscì a coglierlo ugualmente.
    -Sta per tornare.- Aveva detto.

    ****

    Secondo gli psicologi, lui era in depressione. Era vero? Non avrebbe saputo dirlo. Dopotutto, cosa voleva dire essere depressi? Come ci si sentiva esattamente? Nessuno lo sapeva con precisione. E' una malattia strana, la depressione. Qualcosa che ti rosicchia dall'interno senza che nessuno noti un cambiamento effettivo nel comportamento della persona. O almeno, così era esattamente come si sentiva Namjoon. Era questa la depressione? Nemmeno gli interessava approfondire la questione. Dopotutto, erano passati così tanti anni da quando aveva iniziato a sentirsi in quel modo che aveva iniziato a riconoscersi proprio in quella figura triste e negativa che gli altri gli attribuivano. Non riusciva più nemmeno a contare il tempo che era passato da quell'avvenimento, perchè da allora era stato un susseguirsi di giornate tutte uguali. Da allora, era stato come camminare in un paesaggio che si ripeteva identico, senza nemmeno conoscere dove lo avrebbe portato. Ciononostante, Namjoon continuava a trascinare i piedi in quella strada lunga e sempre uguale. Un passo dopo l'altro, continuava ad andare avanti. Dopotutto, se avesse deciso di morire, che giovamento avrebbe trovato? Cosa sarebbe cambiato, una volta nell'Aldilà? Anche se fosse andato in Paradiso, avrebbe continuato comunque a vivere giornate identiche l'una all'altra.
    Una volta lo psicologo gli aveva chiesto di paragonare la vita ad un colore. Lui aveva detto il grigio. Risposta prevedibile da parte di un depresso? Forse. Di certo lo psicologo si era dimostrato soddisfatto. Probabilmente, era contento di essere riuscito a dimostrare a sè stesso che aveva ragione, che Namjoon era depresso. Come se questo fosse un motivo per cui gioire. Comunque, il diciottenne aveva deciso di non farci troppo caso. Come sempre, d'altronde. Non faceva più caso a nulla, lui. Forse era anche per questo che la vita gli sembrava così terribilmente noiosa. In ogni caso, la sua vita era grigia, sicuramente. Di ciò era certo.
    -...Joon, ti ho fatto una domanda.-
    Trasalì, sentendo il suo nome. Non aveva la minima idea di cosa stesse dicendo il professore. Di fatto, in realtà, si era del tutto dimenticato di essere in classe.
    -Scusi, non stavo seguendo.-
    Imprecò mentalmente. Era il suo ultimo anno lì dentro, non poteva assolutamente permettersi pareri negativi da parte dei professori. Tutti, da parte sua, si aspettavano dei grandi risultati. Tutti pensavano che si sarebbe dovuto iscrivere ad un'università prestigiosa, e che con le sue doti avrebbe poi fatto successo. Probabilmente, lo pensavano tutti tranne lui. Namjoon era l'unico a non avere le idee chiare sul suo futuro. A lui non interessava studiare, era solo un passatempo. Per occupare le giornate. D'altro canto, non voleva nemmeno diventare ricco. Non che l'idea gli facesse schifo, però aveva ben altre aspirazioni. Ciò che desiderava lui, infatti, era la felicità. Eppure, sapeva bene che era l'unico desiderio che non si sarebbe mai realizzato.
  14. .
    Sempre lo stesso sogno.

    O forse dovrebbe dire incubo.

    Nemmeno lui lo sa davvero.

    Taehyung si svegliò accompagnato dal trillo della sveglia. Già, la scuola. Sibilò a denti stretti. Le vacanze di Natale erano finite ormai da giorni, ma lui aveva deciso di starsene ancora un po'a casa, accudito dal calore delle coperte e dal candore che la neve diffondeva nell'atmosfera. Ma quando, la sera prima, gli era arrivato un preoccupato messaggio di Jungkook, aveva deciso che era arrivato anche per lui il momento di ritornare in quel triste edificio. Non voleva rendere ansioso il suo amico più di quanto non lo fosse già: non che questo lo dimostrasse mai apertamente, ma Taehyung lo conosceva ormai abbastanza bene da capire che, in realtà, il giovane reprimeva una grande ansia dentro di sè.
    Non se l'era mai presa per il fatto che il ragazzo dai capelli scuri gli nascondesse cose come quella: lui era il primo a mascherare tanti, troppi, lati di sè stesso. Scendendo dal letto, si avviò verso lo specchio. Tentando di ignorare le spesse occhiaie che gli contornavano gli occhi, si rianimò i capelli arruffati, cercando di renderli un po' più presentabili di quanto non fossero, ma sapeva già che intanto ogni tentativo sarebbe stato vano. Da quando se li tingeva, essi sembravano diventati di plastica. Ma lui non avrebbe sicuramente smesso per una ragione di quel tipo. Si vestì e, senza mangiare colazione, uscì di casa. Era già in ritardo ma, in cuor suo, preferiva che fosse così: non aveva voglia di incontrare nessuno, nemmeno Jungkook, quel giorno. L'incubo che faceva quasi sempre si era ripresentato proprio quella notte alla porta a disturbare il suo sonno dopo due settimane di assenza, e questo l'aveva gettato nel più amaro sconforto. Era a duecento metri dal tetro edificio chiamato scuola, e stava già tirando un sospiro di sollievo per non aver incontrato nessun suo conoscente, quanto sentì una voce gridare il suo nome.
    -Tae! Taehyung! Sei sordo?-
    Senza nemmeno voltarsi, sapeva già di chi si trattava. Avrebbe riconosciuto quella voce tra mille. Jungkook. Tirando fuori un sorriso stanco ma sincero, si girò, e gli rispose secco. -No, sono solo ancora addormentato.- Rise leggermente, vedendo che il ragazzo aveva il fiato corto. Doveva aver corso fin lì, Taehyung non sapeva dire se era per non arrivare in ritardo a scuola o per raggiungerlo. Quando il respiro del più giovane si fu stabilizzato, alla fine, quest'ultimo riprese a parlare.
    -Tutto bene? Ho visto che non sei venuto a scuola in questi giorni.-
    -Mmh, sì, tutto bene. Avevo solo voglia di starmene ancora a casa.- mugolò il più vecchio. In realtà niente andava bene. Ma Jungkook non doveva sapere. Taehyung non se lo sarebbe mai perdonato se fosse riuscito a rovinare la vita ad un'altra delle uniche persone a cui lui teneva. Non poteva dirgli nulla, nè della sua situazione in famiglia nè dei suoi sogni. Ogni tanto aveva provato il desiderio di dirgli tutto, era stato quasi sul punto di farlo, ma sempre, ogni volta, la sua coscienza l'aveva fermato. E Jungkook non aveva mai insistito per sapere di più. Anche per questo Taehyung lo adorava così tanto. Non avrebbe sopportato di perdere anche lui, se fosse successo probabilmente sarebbe stato capace di togliersi la vita.



    Jungkook lanciò rapide occhiate in giro mentre lui e Taehyung attraversavano il cortile gremito di studenti. Tirò un sospiro di sollievo, non vedendoli. Giusto il giorno prima, quando lui si era rifiutato di dar loro dei soldi, si era beccato un pugno in pieno stomaco, e non ci teneva a ripetere l'esperienza: soprattutto, non davanti a Tae. Era già abbastanza ferito nell'orgoglio così, non voleva peggiorare la situazione. Per questo motivo non ne aveva parlato con nessuno, nemmeno con il suo migliore amico. Si girò nuovamente verso il ragazzo accanto a lui, pregando che non si fosse accorto del fatto che ormai lui aveva perso da un po'il senso del discorso. Questo aveva continuato a parlare, Jungkook non avrebbe saputo dire di cosa, ma si limitò ad annuire quando Taehyung gli fece un'espressione interrogativa. Di rimando, come se il maggiore si fosse accorto di non essere ascoltato, quest'ultimo gli donò il silenzio. Jungkook sperò che non si fosse offeso, ma lo conosceva abbastanza per dire che, anche in quell'eventualità, la rabbia gli sarebbe passata presto. Una strana atmosfera scese sui due adolescenti: era raro che entrambi preferissero evitare di parlare. Di norma, quand'anche ad uno dei due succedeva, l'altro continuava imperterrito a cercare le attenzioni dell'amico, finchè non le otteneva. Ma quel giorno ciò non successe. Jungkook scrollò le spalle. Non gli dispiaceva, in fin dei conti, il fatto di avere un po'di tempo per sè stesso. Alla fine, Taehyung arrivò davanti alla sua aula, e Jungkook lo salutò con un sorriso triste. Ora era di nuovo lui, da solo, di fronte alla propria personale e quotidiana battaglia. Tirò un profondo sospiro, tentando di imporsi calma e sangue freddo, ma ciò non fece che mandare i suoi nervi ancora di più in fibrillazione. Era dannatamente nervoso, come ogni mattina, ma d'altronde non poteva sottrarsi a tutto quello. "Oh, andiamo, Jungkook, hai 15 anni, che ti spaventi a fare..." sussurrò tra sè e sè, e si incamminò verso la sua classe. Quando entrò, ricevette la solita occhiata glaciale, ma lui si impose di non farci caso. Si diresse verso il suo banco, e sperò che i soliti tre non lo venissero a importunare come al solito. Per sua fortuna, con il fatto che era arrivato in ritardo, non sembravano intenzionati a dargli fastidio. Troppo poco tempo, non avrebbero goduto abbastanza.

    Per Jungkook, con gli occhi puntati fuori dalla finestra, la mattina trascorse lenta e inesorabile. Avrebbe giurato, ad un certo punto, di star marcendo sulla sedia. La lezione non gli interessava affatto e, nonostante i vari tentativi di donare la sua attenzione al professore, la sua mente ostinata vagava altrove. Pensava al passato, all'infanzia perduta che, per lui, era stata l'unico momento felice di tutta la sua breve vita. Pensava alla sua famiglia, a quello che avrebbe dovuto essere, e a ciò che invece era. E pensava a Taehyung. Malgrado tutto, lui era stato l'unica persona a stargli accanto in ogni momento. Eppure... Eppure nessuno dei due sapeva nulla dell'altro. Jungkook se ne rendeva conto. Vivevano in uno stato di finta felicità che, però, non poteva portare da nessuna parte. Sbuffò, scacciando quei pensieri e, risvegliandosi, si trovò davanti nientemeno che il soggetto dei suoi pensieri. Taehyung lo guardava, sorridendo con uno di quei sorrisi un po'squadrati che gli erano propri. Il giovane li aveva sempre ritenuti il segno distintivo dell'amico.
    -Mi chiedevo quando saresti tornato sul pianeta Terra, sai?-
    -Da quanto sei qui?-
    -Non si risponde ad una domanda con un'altra domanda, nessuno te l'ha insegnato questo?-
    -Guarda che lo stai facendo anche tu ora.- concluse il moro ridendo. Questi erano i momenti veramente importanti per Jungkook, quelli senza finte, dove tutti e due riuscivano a trovare un'isola di pace in mezzo a quel mondo così crudele con entrambi. Si alzò dalla sedia, guardando di sottecchi i suoi compagni di classe. Non sembravano volerlo importunare. Che fossero intimoriti dalla presenza di un ragazzo più grande? Ma come poteva Taehyung incutere paura alle altre persone? Ci doveva essere un'altra ragione, ma il ragazzo in quel momento non riusciva a trovarla. Decise che, per il momento, si sarebbe soltanto goduto il momento di pace, e seguì il maggiore verso l'uscita.
    Il pomeriggio, dopo aver deciso di stare un po'più a lungo insieme, rispetto al solito, lo trascorsero tra videogiochi, risate, zuffe. In quei momenti di semplicità, a nessuno dei due importava più nulla di niente, nè della scuola, nè dei problemi. Tutto, momentaneamente, si cancellava. Entrambi, a tutto ciò che succedeva in quei vuoti pomeriggi, si aggrappano disperatamente, in silenzio, come se ricercassero un po'di normalità in mezzo al caos che vedevano intorno e dentro di loro.
    Alla fine, arrivò la sera. Jungkook si voltò verso il maggiore. Taehyung si era appisolato sul pavimento, e il giovane pensò che non avesse mai visto qualcosa di più bello della visione del suo hyung addormentato. Quell'immagine gli trasmetteva una grande pace e tranquillità, sensazioni che non gli erano proprie più da molto tempo. Alzò lo sguardo verso il mondo di fuori, che si intravedeva attraverso le finestre di camera sua. Il buio stava iniziando ad avvolgere tutto con la sua inquietante coperta, e il quindicenne si sentì improvvisamente insicuro. Dette un leggero scossone al maggiore e questo, per tutta risposta, mugolò.
    -Tae.- si limitò allora a dire, in un sospiro. A quel punto, Taehyung si decise a svegliarsi. Sorrideva, pacato e in ascolto. Per un attimo, un solo attimo, il silenzio in quella stanza fu assoluto. Poi Taehyung, che odiava tutta quell'assurda tranquillità, lo ruppe.
    -Allora, che c'è?-
    -Ti va di andare in quel posto?- fu quindi la risposta di Jungkook.
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